Far parte di una band non è poi così diverso dall’avere una storia d’amore. Di quelle forti, fatte di passione, condivisione e, a volte, anche di inevitabile stanchezza.
I Bombay Bicycle Club non sono sicuramente esclusi da queste dinamiche e come la più classica delle coppie hanno avuto la loro crisi da risolvere, una vera e propria ““ pacifica ““ pausa di riflessione, durata ben quattro anni.
“Ho bisogno di tempo”, è così che si dice in quei casi, no?

Negli ultimi anni ogni membro ne ha approfittato per pensare un po’ a sè: il cantante Jack Steadman è diventato Mr Jukes, il suo alter ego jazz-funk, il bassista Ed Nash, sotto il nome di Toothless, si è dedicato ad un progetto alt-pop nel quale ha coinvolto anche il batterista Suren de Saram, mentre il chitarrista Jamie MacColl ha ampliato il proprio profilo LinkedIn (perchè sì, ne ha uno) con una laurea al King’s College in studi di guerra e un master in filosofia all’Università  di Cambridge, oltre ad aver realizzato un documentario per la BBC Radio 1 sulle canzoni di protesta. è evidente quanto avessero voglia di sentirsi individui singoli ed esprimere la propria unicità , ognuno a suo modo.

Ma nel 2019, in occasione del decimo anniversario dell’uscita del loro primo album “I Had The Blues But I Shook Them Loose“, la band ha deciso di organizzare un tour in UK, ed è proprio lì che è scattata la scintilla. I BBC non hanno potuto fare a meno di cedere alla passione, annunciando il loro ritorno e il loro quinto album, “Everything Else Has Gone Wrong“, che con questo titolo apparentemente catastrofista in realtà  ha l’intento di lasciare un messaggio di tutt’altro tipo, mettendo in primo piano il ruolo catartico della musica e invitando a vederla come una luce a cui aggrapparsi nell’oscurità  più totale.

Proprio per questo è un album dalle sonorità  positive e rasserenanti, 41 minuti di pace assoluta. Facendo caso ai testi di alcune delle canzoni ci si accorge del contrasto particolare tra le parole e l’ottimismo con cui vengono espresse. In “Good Day” ad esempio, si parla di amici persi, lavoro inesistente, la voglia di passare almeno buona giornata. Mentre il primo singolo, “Eat, Sleep, Wake (Nothing But You)“, ci racconta l’ossessione per il ricordo malinconico dei primi tempi di una storia ormai finita, con un tono quasi scanzonato.
è come se “Everything Else Has Gone Wrong” fosse una di quelle persone a cui la vita non va granchè bene, ma che reagisce alle negatività  sorridendo, quasi a sottolineare quanto a volte non è tanto quello che si dice, quanto l’atteggiamento in cui lo si fa a definire le cose. Quindi sì, se il loro intento era quello di dare speranza e regalare un’oasi di pace nel deserto dei nostri problemi, hanno sicuramente centrato il punto. Ma questo può bastare a definirlo un ottimo ritorno?
Quando viene annunciato un album dopo anni di separazione, all’attesa si sommano alte aspettative, che in questo caso non sono state pienamente soddisfatte. I testi risultano spesso ripetitivi e gli arrangiamenti non raggiungono l’esplosione creativa del loro penultimo album “So Long, See You Tomorrow“, di cui ritroviamo solo lievi reminiscenze in alcuni brani, come nel flauto che introduce “Do You Feel Loved?“. I singoli sono i brani meglio riusciti, in particolare “Everything Else Has Gone Wrong“, che è stata scritta per ultima e ha dato il nome all’album proprio perchè capace di condensare il senso di tutto l’LP in una sola canzone e “Racing Stripes“, dolce e malinconica chiusura del disco, nel quale una fisarmonica e un violoncello pizzicato accompagnano la voce di Jack e quella leggera e femminile di Billie Marten, fuse alla perfezione in una sorta di nenia.

è innegabile che quest’album non sia al livello delle ultime creazioni dei quattro londinesi, ma nonostante ciò non si può non provare rispetto per dei musicisti che hanno saputo mettere in pausa un progetto importante, consapevoli del fatto che continuare controvoglia avrebbe prodotto tutto fuorchè arte. Una decisione che non tutti hanno l’onestà  di prendere, in nome di qualcosa di sicuramente più alto della fama.

Photo by Josh Shinner