Prodotto da Kenny Kerner e Richie Wise – come, del resto, il successivo “Hotter Than Hell” – l’esordio omonimo dei Kiss manca di quella spinta oltremodo “chitarrosa” per cui la band sarebbe diventata famosa in seguito. La maggior parte delle canzoni, infatti, anche quelle più frivole e veloci come “Deuce” (indiscutibile evergreen dei quattro), si basano su delle coordinate jungle-rock un po’ distanti, per l’appunto, dai (capo)lavori successivi. Va da sé, naturalmente, che nel 1973 quando Ace Frehley si unì a Paul Stanley, Peter Criss e Gene Simmons i Nostri non erano ancora diventati quel gruppo sfavillante che tutti conosciamo. Poco male.

Sì, perché anche se un po’ acerbo, l’esordio della formazione americana resta a suo modo uno dei capisaldi più innovativi del cosiddetto glam-hard-rock a stelle e strisce. Come definireste, altrimenti, un lavoro realizzato con una cura maniacale per i dettagli ed un’estetica fatta di trucco e make-up? Erano (già) avanti i Kiss, altroché. Ed i nove brani che vanno a comporre la tracklist del disco in questione rappresentano i primi colpi ben assestati da sferrare – come quattro pugili attempati – su quel ring dannatamente complicato (allora come oggi) che è il mainstream musicale.

“Strutter”, per esempio, è uno di quei pezzi di cui innamorarsi al primo ascolto: leggero, scanzonato, con un riff sul finale che lascia(va) già presagire quello che sarebbe stato l’immediato futuro dei Kiss. “Nothin’ To Lose”, invece, è un uragano corale di note scoppiettanti cantate all’unisono da Gene Simmons, Paul Stanley e dallo stesso “catman”, Peter Criss. Magia pura. E cosa dire di “Cold Gin”, se non che si tratta di uno degli episodi meglio riusciti dell’album? Questa volta è il solo Simmons a cantare di un uomo “che non si ubriaca mai” tra un ipnotico giro di basso ed un riff dal sapore decisamente blues.

Appare quasi superfluo sottolineare che si tratta di un altro classico dei Kiss (amatissimo dai fan) anche se in una versione un po’ più lenta rispetto a quelle proposte negli innumerevoli “set” portati in giro per il mondo da Paul Stanley e soci. “Kiss”, in pratica, è il sogno ad occhi aperti di quattro ragazzacci americani vogliosi di far arrivare al mondo il loro Credo musicale. Certo, nei primi mesi del 1974 i fasti di “Dinasty” (e soprattutto di “I Was Made For Lovin’ You”) apparivano ancora piuttosto lontani, ma la strada che portava verso la gloria eterna – nonché verso le vette del cosiddetto Olimpo degli “Dei Del Rock” – era stata oramai imboccata.

Prendete un brano come “Kissin’ Time”; pur trattandosi di una cover, con il suo geniale giro di basso presente nell’intro, è la descrizione perfetta di ciò che erano i Kiss nei primi Anni Settanta: una formazione cosciente sin dalla prima ora di dove sarebbe voluta arrivare. Non solo. Tra le pareti sonore delle melodie sghembe del debut della band statunitense, è possibile annusare un po’ dell’aroma dal sapore di asfalto e di luci soffuse della New York disincantata e glamour dei “seventies”. Quella di Scorsese, Schrader e De Niro.

Quella dei Kiss.  

Pubblicazione: 18 Febbraio 1974
Durata: 35:11
Dischi: 1
Tracce: 10
Genere: glam-rock, hard-rock
Etichetta: Casablanca Records
Produttori: Kenny Kerner, Richie Wise

Tracklist:

  1. Strutter
  2. Nothin’ To Lose
  3. Firehouse
  4. Cold Gine
  5. Let Me Know
  6. Kissin’ Time
  7. Deuce
  8. Love Them From Kiss
  9. 100, 000 Years
  10. Black Diamond