Dietro il moniker Grass Jaw si cela un polistrumentista statunitense chiamato Brendan Kuntz. Il suo nuovo album, “I Don’t Want To Believe”, è figlio di una sfrenata ossessione dell’artista originario di Ithaca per gli UFO e gli extraterrestri. Non è dato sapere quanto ci sia di serio dietro la fissazione del cantautore per le forme di vita aliene. Sta di fatto che questa misteriosa e ultraterrena aura da indie rock complottista è forse l’unica nota interessante di un disco che, seppur ben confezionato, ha ben poco da offrire.

Kuntz ci propone un folk rock dal gusto alternativo e grezzo, influenzato da Meat Puppets, The Microphones e dal collettivo Elephant 6, con sprazzi di country e lo-fi. Il suono caratteristico della chitarra elettrica, che sia “abbrustolita” dal fuzz o imbevuta nel riverbero, avvicina l’opera a territori garage rock. I fiati aggiungono un tocco di colore a un album che, seppur non privo di aspetti positivi, si fa ascoltare con grande fatica.

Le otto canzoni di “I Don’t Want To Believe” sono fiacche, stanche e noiosissime. Gli elementi più ruspanti dell’Americana si fondono in un’accozzaglia di melodie sbiascicate e deprimenti. Brendan Kuntz è un buon autore: sa scrivere canzoni originali e articolate ma non riesce a trasmettere alcuna emozione. L’album colpisce in maniera negativa per la sua totale mancanza di vitalità e per alcune scelte discutibili in fase di produzione. Il sound “casareccio” può andar bene in casi del genere ma alla lunga stanca, soprattutto quando non è sostenuto da idee degne di nota.

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