Bryan Ledgard, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons

Parte del merito appartiene a “Saltburn”, film diretto da Emerald Fennell (lo trovate su Amazon Video) che piazza “Murder On The Dancefloor” nella scena finale stracult. Il resto è della nostalgia, sempre più ribollente e sempre più canaglia.

Il ritorno di fiamma globale per il disco-pop della britannica Sophie Ellis-Bextor è il risultato di questa equazione, ma non solo. Perché se è vero che non passava da queste parti da 13 anni e da 22 a Milano (al fu Propaganda), la cantautrice e modella londinese non si era mai fermata, né discograficamente né a livello di tour, numerosi seppur perlopiù circoscritti alla patria.

In una fitta serata musicale che fa convergere a Milano anche 1975, Róisín Murphy e Mother Mother, la Ellis-Bextor riempie quasi del tutto i Magazzini Generali e porta in scena uno show vero ed energico, con una solida band di quattro elementi e un festival di cover che amalgamano le sue poche ma attesissime hits.

E se per certi versi non la si può sottrarre alla leva delle one (or two) hit wonders, le va riconosciuto qualcosa in più, ‘che collaborazioni Manic Street Preachers e Gregg Alexander e aperture a live di George Michael, Take That e Pet Shop Boys non sono presenti nel CV di chiunque.

Che Sophie Ellis-Bextor sia più di “Murder On The Dancefloor”, del follow-up single “Get Over You” e del tormentone “Groovejet” (con Spiller) lo si capisce dalla rovente partecipazione canora e danzante di gran parte del pubblico per tutta l’ora emmezza del set, che dimostra come voce, movenze, energie e empatia di SEB siano ancora doti intatte.

È un live di grinta, good vibes e complicità che si presta al gioco quando serve, con una mini “ruota della fortuna” che decide in un paio di occasioni il brano da eseguire e tributi alle grandi voci femminili del pop (Madonna, Cher) e compagni di scena disco anni duemila (Alcazar, Modjo).

In mezzo, brani che ripercorrono gli otto album di Sophie Ellis-Bextor, compreso il recente “HANA” datato estate 2023, accomunati da un elegante mood dance pop reso più graffiante dal fatto di essere completamente suonato e mai “basato”.

Il gran finale è ovviamente riservato alla super hit, ma anche ad un encore concluso da una versione acustica, cantata dalla balconata dei Magazzini verso il religioso silenzio sottostante, di “A Pessimist Is Never Disappointed”, singolo del primo ed unico disco dei theaudience, band tardo brit-pop in cui Sophie esordì come vocalist sul tramonto degli anni novanta.

Quella chiusura e quel brano sono la testimonianza – e il commiato – di un’artista leggera ma con più radici, gavetta e duttilità di quanto si possa frettolosamente pensare, ancora un po’ stellina, già un po’ saggia.