Federico Leocata è un emergente artista audio-visivo attivo da più di un lustro nell’ambito di una ricerca artistica finalizzata ad analizzare la psiche umana e a sincronizzare costantemente musica e immagini: Acitrezza, Atene, Catania e Salonicco sono state teatro delle sue esposizioni. Ancora la città  etnea, Enna ed Eupen lo hanno visto esibirsi dal vivo.

Il suo esordio discografico ha avuto un’importante investitura, ovvero quella del leggendario Heinrich Mueller in persona che, colpito dalle ermetiche e inquietanti sonorità  electro del suo primo lavoro “Perfido Incanto” (2010), lo segnalò all’etichetta belga WèMè Records che, dal canto suo, già  annoverava in catalogo sue produzioni, talvolta in coppia con il solido DJ Stingray, per far sì che fosse pubblicato. L’ascesa del talento siciliano ha così avuto inizio e, a distanza di un anno dall’altisonante “Phantasmo Obscuro” (2012) sull’olandese Frustrated Funk e in contemporanea con l’uscita nei negozi del suo ultimo EP “Zarathustra” (2013) per la svedese Abstract Forms, ripercorriamo la sua breve, ma intensa, carriera e cerchiamo di scoprirne alcune curiosità .

Dalla pubblicazione del tuo primo disco sono trascorsi già  alcuni (fortunati) anni: in che modo un pizzico in più di notorietà  ha modificato la tua vita?
In nessun modo, cerco solo di evolvermi. In tutti i sensi.

Quando hai sentito l’esigenza di intraprendere l’avventura da produttore?
Ho iniziato a produrre musica dieci anni fa perchè sentivo l’esigenza di dare vita a un percorso artistico aperto a tutte le discipline, dall’illustrazione digitale alle video-installazioni. Dopo anni dedicati in ambito visivo, Heinrich Mueller si è interessato alla mia musica e alla mia ricerca artistica, facendomi esordire nel 2010 sulla belga WèMè Records.

Dalla lettura di varie recensioni a diverse latitudini, emerge con forza un ineludibile riferimento geografico: Catania. Il paradosso vuole che la vicinanza all’Etna non generi alcuna preoccupazione e neppure alcuna influenza. Non escludendo alcuna fonte, quali sono le tue ispirazioni artistiche, cinematografiche, letterarie, musicali?
Ho sempre lavorato nell’anonimato e senza alcun tipo di influenza esterna e credo questo sia stato fondamentale per il mio sviluppo artistico a trecentosessanta gradi, non avendo mai seguito una determinata moda o una determinata corrente. Senza dubbio, sono ispirato dall’arte di Francis Bacon (pittore irlandese) ed Egon Schiele, dalle performance di Vanessa Beecroft, dal minimalismo di Erik Satie allo stile prettamente metafisico di Franco Battiato, dai ‘maestri dell’inconscio’ come David Lynch, Federico Fellini, Ingmar Bergman e Carl Gustav Jung, oltre che, ovviamente, i Kraftwerk e tutte le opere del duo James Stinson e Heinrich Mueller.

Fra tutte, quella dei Drexciya e dei loro progetti paralleli e/o solisti riveste, per forza di cose, un’importanza strategica per più motivi.
Sono dei geni e, pur avendo incontrato Heinrich Mueller, dubito sia umano.

Hai, invece, un album preferito dei Kraftwerk? A dieci anni dal loro ultimo lavoro in studio, “Tour De France” (2003), perchè continuano a essere così speciali?
è difficile riuscire a trovare un album che prediligo”… se dovessi necessariamente nominarne due direi “The Man-Machine” (1978) e “Computer World” (1981), entrambi riescono a proiettarmi in un’altra dimensione. Credo che i Kraftwerk siano un gruppo fondamentale per chi ama la musica, non solo elettronica, poichè il loro contributo è stato assolutamente rivoluzionario, stravolgendo tutto.

Dai tuoi esordi a oggi, sono cambiati i tuoi ascolti?
No, si è semplicemente ridotto il tempo a mia disposizione.

In qualche modo, nel tuo piccolo, sei un collezionista?
Cerco di avere quanto più pubblicazioni possibili degli artisti e degli uomini che più mi influenzano.

La tua musica sa essere decisamente ‘fredda’, marziale e venata di spleen. Quanto lavori costantemente su tali aspetti?
In realtà , è qualcosa di naturale, per me: seguendo un determinato percorso, la sensazione di ‘freddezza’ che si percepisce, è un simbolo della giusta direzione che sto seguendo. è difficile trovare qualcosa di confortante se guardiamo dentro noi stessi.

Ci sono, per caso, dei brani che sono rimasti inediti dalle sessioni per “Perfido Incanto”, (2010, WèMè Records) “Phantasmo Obscuro” (2012, Frustrated Funk) e il recentissimo “Zarathustra” (2013, Abstract Forms)?
No, anche se “Phantasmo Obscuro” era stato concepito come un album, ma alcuni brani uscirono in 12″ su Frustrated Funk ed altri nell’EP digitale “Unio Mystica” su Le Galassie di Seyfert.

Ancora una volta l’uso del tedesco non solo a livello di tracklist. Qual è il ‘konzept’ che si cela dietro l’ultima tua fatica?
Tutto il mio lavoro è incentrato sull’analisi dell’inconscio e lo stesso approccio è stato usato per “Zarathustra”. Fu uno delle prime opere filosofiche che lessi, credo nel 2002 o nel 2003, e che ho recentemente approfondito grazie all’analisi accurata di Carl Gustav Jung durante un seminario tenuto nella seconda metà  degli anni ’30. Si tratta di un’opera molto interessante dal punto di vista psicologico e illustra perfettamente la condizione di un uomo che, guardando a lungo nell’abisso, ne viene risucchiato.

All’interno dei tuoi lavori, fai propria la lezione del ‘sommo’ Heinrich Mueller e rivaluti l’idea di un’electro, tanto romantica quanto oscura, che possa sia slegarsi che legarsi alle vocals altrui. Da dove nasce questa esigenza?
è il mio concetto di musica, nasce dal profondo, da tutto ciò che è sotterraneo.

Si è spesso ritenuto che un genere simile induca a una spersonalizzazione dell’artista e quasi lo conduca verso una ovvia divinazione dei macchinari a cui fa ricorso. Da zero a dieci, quanto sei ‘audiofilo’?
Zero. Pochi strumenti, molta anima.

Come sono generati i vari suoni e rumori da sempre ben calibrati che hanno così contraddistinto il tuo sound?
Manopole, forme d’onda, cavi.

Ti senti pronto per un album a tutti gli effetti? Che ne pensi di un suo ipotetico formato cd?
Ho lavorato per mesi a un ‘konzept’, si tratta solamente di mettere in pratica le varie teorie formulate.

Al di là  dell’anticipazione del futuro remix di Hit Me per i Darabi su Marketing Music, c’è qualche artista (di cui, magari, sei fan) che ti piacerebbe remixare o, semplicemente, con cui ti piacerebbe avviare una collaborazione per un progetto ‘a più mani’?
Mi piacerebbe moltissimo collaborare con Heinrich Mueller e Franco Battiato.

Sei solito inviare demo presso le tue etichette favorite? Sono curioso di conoscere il meccanismo di scelta.
Sì, solitamente invio i miei progetti alle etichette che reputo possano essere interessate alla pubblicazione.

Sono state talvolta le stesse label a sceglierti per il loro catalogo?
Sì, mi è capitato proprio qualche giorno fa e devo vagliare attentamente la situazione.

Come produttore emergente e legato a doppio filo ai propri piccoli successi costruiti con dedizione, pazienza e il supporto di etichette straniere, sei preoccupato del continuo svilirsi della musica ‘fisica’ nonostante le vendite del vinile siano in crescita? L’annosa questione del digitale e di un mondo ‘in rete’ non conosce tregua.
No, mi preoccupa molto di più la mancanza di professionalità  di chi gestisce determinate etichette. è questo il vero problema.

Quanto è importante per te interagire direttamente con i tuoi stessi tramite i social network o, in generale, con tutti coloro che abbiano voglia di scoprire la tua musica?
Mi piace molto interagire con chi fruisce della mia musica, è un grande piacere, per me, parlare con chi dedica il proprio tempo ascoltandomi.

Di riflesso, cosa ti ha spinto ad avviare un’attività  e a fondare la tua netlabel Metaphysix Laboratory? Perchè hai scelto tale nome?
La totale mancanza di trasparenza da parte delle etichette mi ha portato a creare una mia piattaforma dove pubblicare i progetti più sperimentali e/o quelli che comunque erano destinati al mercato digitale. La scelta del nome è un segreto che spero di poter svelare presto.

Quanto pensi sia cambiato il mercato musicale durante questi anni? Considerato la tua breve militanza sulla scena, da osservatore esterno, c’è qualcosa che ti manca del suo passato?
YouTube e Spotify stanno rovinando tutto. Mi manca la ricerca, la voglia di scoprire… si ha tutto in un attimo.

Ogni tua release, anche in digitale, è stata spesso e volentieri accompagnata da uno o più video – visibili sul tuo profilo YouTube – intimisti, onirici, volutamente dominati dal bianco e dal nero. Da regista, in che modo riesci sapientemente a coniugare immagini e musica?
Nasco come videoartista ed è, dunque, per me naturale lavorare con i video, dando così un’esperienza multimediale della mia ricerca.

Un artista che decide di celare la propria identità  in video o sul palco induce l’ascoltatore a concentrarsi esclusivamente sulla musica. Hai mai temuto che ciò possa, però, alimentare qualche curiosità  o, addirittura, generare una qualche forma di ‘hype’ nei tuoi confronti piuttosto che suscitare la giusta attenzione nei confronti della musica proposta?
No, nessuno mi ha mai chiesto di mostrarmi e spero non mi venga mai chiesto.

Cosa fa Federico Leocata quando non indossa la maschera?
Mi reputo un osservatore delle dinamiche individuali e collettive.

Quali sono i tuoi progetti futuri? Cos’hai in serbo per il prossimo autunno?
In autunno uscirà  “The Man From Another Place” (2013), in 12″ e digitale, su Last Known Trajectory. Potrebbe anche accadere altro. Don’t be afraid of evolution!

Federico Leocata – Zarathustra [ Soundclips ]

Federico Leocata – Zarathustra (Official Video)