I Cool Ghouls sono tornati dopo quasi cinque anni dal precedente LP, “Animal Races”: dopo che per i tre precedenti lavori la band di San Francisco si era avvalsa dell’aiuto di grandi nomi come Tim Cohen (Fresh & Onlys), Sonny Smith e Kelley Stoltz, questo quarto full-length è stato prodotto dagli stessi Cool Ghouls, che lo hanno registrato all’Outer Sunset, lo studio-garage dell’ingegnere del suono Robby Joseph, che potete vedere sulla copertina del del disco.

Per il processo di registrazione, al contrario del solito, i californiani questa volta si sono presi più tempo che in passato, entrando in studio per una serie di weekend, dopo aver provato le canzoni nel corso della settimana precedente.

No, cari lettori, non aspettatevi di ritrovarvi davanti a un gruppo garage-rock duro e puro, perchè per questa loro quarta fatica sulla lunga distanza i Cool Ghouls hanno deciso di provare a fare qualcosa di decisamente diverso, sperimentando in più direzioni: anche se nemmeno in passato si sarebbero potuti definire dei puristi, questa volta il gruppo di San Francisco ha virato utilizzando fiati, tastiere e archi e ricoprendo generi come folk, psych-surf e anche quel pop così solare e piacevole tanto caro alla loro terra (leggasi The Beach Boys).

Si parte e “It’s Over” è la prima dimostrazione del cambiamento in atto: le belle e ricche armonie vocali ci ricordano ““ se permettete un paragone moderno ““ i Fleet Foxes, sebbene i loro territori sembrino più cupi rispetto a quelli della band di Seattle. La ciliegina sulla torta poi sono i fiati che impreziosiscono ulteriormente il brano.

“Land Song”, invece, è una ballata scritta con il piano: anche qui trovano lo spazio le armonie e gli archi, ma è la passione sincera presente nei vocals del chitarrista Pat McDonald a colpirci più di tutto sotto il punto di vista emotivo.

La successiva in “Michoacan”, invece, sembra più tradizionale per le loro abitudini, veleggiando su panorami psych-garage con potenti chitarre, pur senza dimenticare le calde melodie della loro terra.

“The Way I Made You Cry” in seguito profuma di anni ’60 (noi ci sentiamo, tra gli altri, anche i Beatles) ed è un brano dai toni molto gentil disegnato con piano e fiati, mentre “Look In Your Mirror” risente fortemente l’influenza dei Beach Boys con quelle sue ottime armonie solari e quel suo pop luminoso, elegante ed euforico.

Oltre quaranta minuti per quindici pezzi che però non stancano: i Cool Ghouls non avranno reinventato la ruota, ma hanno comunque dimostrato di essere capaci di cambiare le loro direzioni sonore e i risultati sono assolutamente apprezzabili. Un lavoro piacevole, nostalgico e intelligente, “At George’s Zoo” è un disco che ci verrà  sicuramente voglia di riascoltare ancora tante volte.

Photo Credit: Michael Bordelon