è il quindicesimo anniversario dell’uscita di “Magic”. Quale migliore occasione per andare a togliere un po’ di polvere da un album così bello ma ingiustamente dimenticato? Certo, il disco in questione non è neanche lontanamente paragonabile alle migliori produzioni di un mostro sacro come Bruce Springsteen. Si tratta pur sempre di un’opera minore nella sconfinata carriera del cantautore statunitense.

Per quale motivo, allora, spingersi a celebrare in pompa magna il compleanno di un minuscolo tassello nel ben più ricco puzzle springsteeniano? Per tante ragioni che non vale la pena star qui a elencare come stessimo scrivendo una lista della spesa; con un’analisi superficiale rischieremmo di fare un torto a un artista che ha dedicato tutta la sua vita all’esplorazione del lato profondo delle cose.

Cominciamo però col dire che, in questa piccola ma ben congegnata raccolta di canzoni, trova nuovamente spazio la rediviva E Street Band, di ritorno dopo la trionfale resurrezione del 2002 in “The Rising”. Una rimpatriata di grandi musicisti capaci di aggiungere un pizzico di “magia” (perdonate il pietoso gioco di parole col titolo) a dodici tracce scritte e registrate con un’urgenza e un impeto che mai ti aspetteresti da una rockstar appagata e vicina al traguardo dei sessant’anni.

Nessuna rivoluzione alla base di “Magic”, la cui vera forza sta tutta nella sua dirompente semplicità . Un salto indietro nel tempo per il non giovanissimo Bruce Springsteen e i suoi attempati sodali che, coadiuvati da un produttore esperto come Brendan O’Brien, nell’autunno del 2007 tornano a macinare il rock fresco, potente e diretto che li ha resi celebri nel mondo. Un suono fedele ai canoni classici del genere – privo di fronzoli nonostante i consueti, sontuosi arrangiamenti un po’ alla Phil Spector ““ per una resa vivace e dinamica che, in maniera abbastanza convincente, prova a imitare l’impatto e le emozioni dei concerti del songwriter del New Jersey.

L’avvio di “Magic” è tutto all’insegna dell’energia e dell’elettricità , con una “Radio Nowhere” che sfrutta a dovere la potenza di un riff arpeggiato estremamente orecchiabile che, alla stregua di una radiofrequenza, si propaga nello spazio in un ciclo ininterrotto di note di chitarra. A seguire troviamo le ben più raffinate e articolate “You’ll Be Comin’ Down” e “Livin’ In The Future”, frizzantissimi esercizi melodici dal leggero retrogusto power pop, e la sfarzosa ma malinconica “Your Own Worst Enemy”, impreziosita dagli elementi tipici del Wall of Sound di spectoriana memoria (archi, timpani, ottoni, persino una campana da atmosfera natalizia).

Nella bellissima “Gypsy Biker”, sotto le raffiche di schitarrate acustiche e dietro lo spettro di una desolante armonica, c’è l’ombra della guerra in Iraq: Bruce Springsteen condanna le violenze americane versando lacrime amare per un soldato che torna a casa dentro una bara, vittima di chi lo ha voluto semplicemente gettare tra le fauci dell’inferno (You slipped into your darkness, now all that remains/Is my love for you, brother, life’s still unchanged/To them that threw you away, you ain’t nothing but gone).

Straziante, ma per ragioni diverse e decisamente meno drammatiche, è anche “Girls In Their Summer Clothes”, una semi-ballad commovente e dal sapore nostalgico che tratta di amori sfiorati ma mai scoppiati – di ragazze in abiti estivi che passano di fianco a uno Springsteen inebriato dalla bellezza femminile ma tremendamente infelice, frastornato dalle luci fluorescenti della città  e col cuore spezzato per una donna che lo ha abbandonato (She went away/She cut me like a knife).

La passione resta incontrastata protagonista anche in “I’ll Work For Your Love”, una canzone smaccatamente pop ma dall’animo dylaniano, per poi svanire improvvisamente nella spettrale title track, un brano folk dai toni alquanto cupi, il cui testo sembra predire le illusioni (e gli orrori, oggi possiamo dirlo con certezza) dell’era della post-verità .

Il tema della guerra riemerge in maniera prepotente in “Last To Die”, “Long Walk Home” e, seppure in forma un po’ criptica, anche nella straordinaria “Devil’s Arcade”, a mio modesto parere cuore pulsante dell’intera opera: il capolavoro di “Magic”, giustamente posto in chiusura a mo’ di ciliegina sulla torta.

Senza dimenticarsi di citare l’altrettanto bella bonus track, “Terry’s Song”: una ballata acustica inserita nell’album all’ultimo minuto per rendere omaggio a un amico e assistente di Springsteen, Terry Magovern, venuto a mancare poco meno di due mesi prima dell’uscita del disco. Una parentesi di grande umanità  alla fine di un viaggio magari non proprio magico, ma sicuramente memorabile e intenso.

Data di pubblicazione: 25 settembre 2007
Tracce: 12
Lunghezza: 47:47
Etichetta: Columbia
Produttore: Brendan O’Brien

Tracklist:
1. Radio Nowhere
2. You’ll Be Comin’ Down
3. Livin’ In The Future
4. Your Own Worst Enemy
5. Gypsy Biker
6. Girls In Their Summer Clothes
7. I’ll Work For Your Love
8. Magic
9. Last To Die
10. Long Walk Home
11. Devil’s Arcade
12. Terry’s Song