C’erano una volta i Galaxy 500, straordinaria e sottovalutata band newyorkese che tra la fine degli anni ’80 e i primi ’90 ha prodotto tre splendidi album di luccicante dream-pop. Poi tutto è finito, e mentre il chitarrista Dean Wareham è andato per la sua strada e ha formato gli ottimi Luna, la sezione ritmica composta da Damon Krukowski e Naomi Yang ha scelto un profilo più basso, continuando, certo, a fare musica, ma senza troppi clamori, quasi sottovoce. Lo spiegano bene nelle note che accompagnano questo “The Sub Pop Years”, raccolta di canzoni tratte dai quattro album che il duo ha fatto uscire tra il 1995 e il 2002 per l’etichetta di Seattle: il loro primo disco, “More Sad Hits” doveva anche essere il loro ultimo, un addio in punta di piedi al mondo della musica. E’ successo però che quella manciata di canzoni soffuse ha iniziato a farsi conoscere e a colpire più di una persona, compresi i titolari proprio di quella Sub Pop che all’epoca, in piena era grunge, era al massimo della popolarità . Damon & Naomi hanno continuato a scrivere canzoni, hanno pubblicato altri dischi, hanno girato il mondo con la loro musica, e hanno deciso ora di riassumere quasi dieci anni della loro carriera nello spazio di queste quindici tracce.

Il primo nome da fare è quello dei giapponesi Ghost, non solo per l’affinità  delle loro atmosfere soffuse e dilatate con i toni di Damon & Naomi, ma anche perchè tra le due formazioni è cresciuto negli anni uno stretto rapporto di amicizia e collaborazione che ha portato anche ad un album in comune, “Damon & Naomi With Ghost” datato 2000, oltre ad una lunga serie di concerti insieme, tanto con la formazione giapponese al completo che in compagnia del solo chitarrista Michio Kurihara. “Song To The Siren: Live In San Sebastian”, uscito nel 2002, è un’ottima testimonianza del periodo in cui il duo era in effetti diventato un trio: un finto album dal vivo – raccontano ancora le note – registrato in realtà  in casa di Damon & Naomi e arricchito in seguito degli applausi del pubblico tratti da vere registrazioni live.

L’altro nome da fare è quello di Nico, evocata qui fin dalla prima traccia, quella “Eulogy To Lenny Bruce” che proprio l’ex-modella tedesca ha cantato e contributo a rendere famosa, inserendola in chiusura del suo “Chelsea Girl”. La sicurezza algida che si fa strada tra gli intrecci leggeri di chitarra e tastiere dolci è il legame fermo che la musica di Damon & Naomi trova con la cantante di Colonia. Un legame che viene fuori con chiarezza in “New York City”, in “Tour Of The World”, nella scura “I’m Yours” o nella luminosa “In The Sun”. L’altra cover della raccolta è “Song To The Siren” di Tim Buckley, che porta con sè un altro ingrediente fondamentale: il folk. Sono canzoni guidate dalla chitarra acustica quelle di Damon & Naomi, e dietro la cortina dream-pop proprio il folk finisce inevitabilmente per emergere, sorta di cuore profondo capace di ancorare a terra una musica in superficie tanto eterea. Ascoltando “Judah And The Maccabees” non si può non leggere una connessione forte con la tradizione americana e proprio non si riesce a non pensare al nome di Neil Young.

I didn’t notice when the dacade had past / It takes so long to count to ten canta Damon Krukowski nella splendida “Forgot To Get High”, ed è facile smarrire il senso del tempo ascoltando queste canzoni. E’ musica che sembra volare leggera, ma attraversata da una sicurezza austera che le dona la forza necessaria per colpire e, dolce ma decisa, farsi strada tra i pensieri di chi ascolta. Difficile se non impossibile rimanere indifferenti.