L’approccio con un nuovo disco degli Eels è sempre difficile, visto l’amore e la passione di lunga data per la loro musica, a partire dall’innamoramento per quegli occhioni di bimba che riempivano la copertina del loro primo disco, sicuramente i più grandi mai visti da quattordici anni a questa parte.

Proviamo a partire allora con un luogo comune: genio e sregolatezza. Si è sempre detto e pensato che queste due qualità  si trovino sempre accoppiate, a determinare, nella vita di molti artisti, momenti di grande ricchezza espressiva, spesso mai più eguagliata. Un motivo allora dovrà  esserci se le opere migliori ci vengono regalate in situazioni di crisi, mentale o fisica, interiore o relazionale. E sia chiaro che così si vive proprio male, anche se a volte il grado di disperazione è tale che forse neanche ci si accorge del malessere. Questo trova allora una forma di catarsi nell’espressione artistica, in qualsiasi campo il nostro beniamino si stia cimentando, che sia pittura o scrittura, fotografia o musica.

Se la disperazione non trova sufficiente sfogo si arriva a cupissimi epiloghi, come quelli che tra la fine del 2009 e l’inizio di quest’anno, tanto per ricordare i più vicini, ci hanno strappato due degli artisti che più amiamo, Vic Chesnutt e Mark Linkous, in arte Sparklehorse. Proprio quest’ultimo ha sempre avuto molti punti di contatto con mr.Everett, a cominciare dal malessere mentale, oscillante tra paranoia e depressione. E musicali ovviamente, con una capacità  incredibile di creare melodie in bilico tra la delicatezza e l’innocenza di una filastrocca per bambini, e l’inquietudine e lo straniamento di squarci musicali folli e sregolati.

Questo nei momenti migliori dal punto di vista artistico, che però, come si diceva, andavano a braccetto con uno stato di disagio che doveva essere superato. Il Mark di cui vi sto parlando, leader unico e incontestabile del gruppo Eels, ha trovato ora un equilibrio nella propria vita, l’ha riversato nella sua musica, estrinsecando pensieri e storie per metabolizzare e superare paure e angosce. Abbiamo così avuto tra le mani una ricca produzione, come i tre album arrivati negli ultimi due anni. Dopo “Hombre Lobo” nel 2009 e “End Times” all’inizio del 2010, il recente “Tomorrow Morning” vuole essere la chiusura di una trilogia. Non cambia il registro e la musica del nostro sembra aver trovato una cifra espressiva collaudata e, perchè no, riconoscibile e spesso ormai scontata. La tavolozza è sempre ricca e varia, vista la capacità  di Mark di muoversi abile tra brani intrisi di lo-fi, scarni e spogli come bozzetti o demo, più che canzoni compiute, e altri sporchi e cattivi, tanto nei suoni quanto nei testi, rock e punk i primi, cinici e diretti i secondi. A questo giro tanto le basi ritmiche quanto le strutture melodiche sembrano già  viste e frequentate, come se le attenzioni del nostro fossero riversate a forza nella scrittura dei testi, lasciando che la musica seguisse strade conosciute, per lui e sicuramente per tutti quelli che come noi lo hanno seguito per anni.

A risollevare le sorti complessive ci sono per fortuna alcune gemme stupende, come l’incantevole “Spectacular Girl”, o piccole storie che possiamo sentire nostre e amare immediatamente, come, per quanto mi riguarda, “I Like The Way This Is Going”. Ma la sensazione generale resta quella di un appiattimento espressivo, più noia per la mancanza di nuovi stimoli che pace e serenità  per la familiarità  di orizzonti domestici.

Ok, chiuso il capitolo e chiusa la trilogia”…si riparte, mr.E?

Photo Credit: Gus Black