I White Lies di Ian…oops, scusate, ho avuto un lapsus…di Harry McVeigh, hanno preso il largo, son partiti, quasi due anni orsono, con un battellino a vapore e si sono ancorati nel bel mezzo dell’Atlantico.

Si, è andata così. Dopo l’ottimo esordio segnato poco più di due anni fa con “To Lose My Life”, i 3 di Ealing, diciamo che non hanno mantenuto del tutto fede alle aspettative. E’ vero che il secondo album è sempre quello più difficile, almeno questa è la pappardella che è sempre circolata e sempre ciorcolerà , però dai tre londinesi ci si aspettava un salto, che invece non c’è stato. Forse la troppa paura di non mantener fede alle aspettative li ha fossilizzati sugli stessi suoni del primo album.

Però, se immaginassimo che prima di “Ritual” non ci fosse stato niente, e che questo sia l’album d’esordio di tre ragazzi qualsiasi proveniente dalla più oscura Londra, allora si, il disco prenderebbe eccome l’ascoltatore.
L’inizio è abbastanza energico. “Is Love”, “Strangers” e “Bigger Than Us” (primo singolo) sono un mix di synth, in perfetto stile depechemodiano, riff spigolosi e testi cupi. La voce, e lo stile di McVeigh si amalgano alla perfezione con la cupa sezione melodica e con i testi sempre rigorosamente noir.

Se l’inizio ha un appiglio immediato sull’ascoltatore, non si può dire lo stesso per la seconda parte dell’album. Dopo la scarica elettrica di “Holy Ghosts” (alla voce pare esserci Dave Gahan) e ‘l’omaggio-plagio’ a Ian Curtis in “Turn the Bells”, la volata finale non ci riserva nulla di particolarmente interessante: “The Power and the Glory”, “Bad Love” e “Came Down” si stanziano sui soliti canoni indiepostpunkrock, devi vari Interpol e Editors, e lasciano come d’altronde tutto il disco l’amaro in bocca.

Come già  detto se i White Lies fossero stati una band al debutto “Ritual” forse sarebbe stato forse il disco dell’anno, ma purtroppo non resta che constatare che l’evoluzione artistica dei tre, che tanto attendavamo, non c’è stata. Come si suol dire non c’è due senza tre, e a questo punto speriamo che questo ‘tre’ ci riservi qualcosa di meglio.