In una banale e torrida mattina di luglio, anticamera di quelle giornate dure a scorrere in cui le ore e i minuti sembrano rallentare come a soffrire il caldo asfissiante, i Wilco intuiscono le nostre sofferenze e decidono di regalarci a sopresa e a costo zero il nuovo disco. “Star Wars” piomba dal nulla nelle nostre cartelle di mp3, in download gratuito per un periodo limitato, mentre l’uscita in formato fisico è prevista per fine agosto. Sui social si diffonde velocemente la notizia, l’entusiasmo è palpabile anche se, a fronte dei primi entusiasmi, solo poche ore dopo crolla uno strano silenzio interpretabile come indifferenza. Decido di interrompere il mio digiuno di nuovi ascolti, favorito probabilmente da una saturazione maturata negli ultimi mesi e dopo un primo passaggio nelle mie casse del disco non mi resta quasi niente.

Ai Wilco si deve però concedere sempre una seconda possibilità , eventualmente anche una terza, una quarta e così via; dopo qualche giorno inizio a macinare ascolti e le prime avvisaglie di indifferenza sono spazzate via pur non fugando tutte le perplessità . Il primo punto da chiarire è che “Star Wars” suona come un disco dei Wilco pur prendendo le distanze da tutti i lavori della band di Chicago. Lontani dalla semplicità  alt-country degli esordi e dalle deviazioni più sperimentali di alcuni passaggi dei capolavori “Yankee Hotel Foxtrot” e “A Ghost Is Born”, i brani respirano chitarre distorte ma con uno stretto legame alla forma canzone e alle melodie. La mezz’ora abbondante per la dozzina di pezzi in scaletta ci regala una band mai così concreta ed efficace come oggi, capace di scrivere un disco che scorre piacevolmente nonostante le prime reticenze dovute all’ascolto distratto.

Di contro, la linearità  stilistica porta in dote una certa parsimonia di pennellate d’autore a cui ci hanno da sempre abituato; solo tre brani, soprattutto “You Satellite” e in tono minore “Where Do I Begin” e “Magnetized”, provano a stringere il cuore come ci si aspetterebbe. Forse questo ha frenato gli entusiasmi per un disco stilisticamente impeccabile che cerca una strada diversa seppur coerente fino in fondo a quelli che sono sempre stati i Wilco. Se una band esordiente riuscisse a mettere in fila anche solo la metà  dei brani di “Star Wars” si griderebbe al capolavoro, però per Tweedy e soci questo è solo un compito ben fatto, di ottima calligrafia e di ispirazione più che sufficiente. La nuova(?) strada intrapresa sembra quella giusta, i Wilco non riescono proprio a deludere.

Photo: Zoran Hires