Ezra Furman è musicista e personaggio. Bastian contrario, ebreo, bisessuale e “gender fluid” (come ama definirsi) si presenta sul palco in abiti femminili, con un rossetto rosso stile Robert Smith. E non sono solo costumi di scena indossati per provocazione, anche se provocare gli piace un bel po’. Lui si vede così punto e basta, da quando una sera ha ascoltato i Velvet Underground in auto con un’amica e la voce di Lou Reed gli ha fatto capire un bel po’ di cose. Del resto l’aveva già  detto Lester Bangs che Lou con la sua musica aveva cambiato per sempre i rapporti tra uomini e donne, uomini e uomini, donne e donne. Ecco Ezra Furman è il risultato a lungo termine di quella rivoluzione. In “Perpetual Motion People” è affiancato ancora una volta dai The Boyfriends (Jorgen Jorgensen al basso, Ben Joseph a tastiere e chitarra, Sam Durkes alla batteria e il sassofonista Tim Sandusky) la touring band che lo accompagna da quando si sono sciolti quei mattacchioni dei The Harpoons con cui si era tanto divertito. Ezra di recente ha detto che per riassumere i suoi dischi basta ascoltare le prime parole della prima canzone. “Restless Year” comincia così: “I set up camp in the center of town /Ready for freedom when it all comes down”. Ed è già  tutto chiaro.

Stavolta Mr. Furman si mette nei panni degli outsider. Quelli che una casa ce l’hanno o potrebbero averla ma preferiscono dire no grazie, una “Ordinary Life” non fa per me. Gente che si muove di continuo, per lavoro e per scelta. Ezra è uno di loro e non lo nasconde, un Peter Pan che non vuol morire nè diventare vecchio. Musicalmente ha ormai raggiunto la quadratura del cerchio: dopo tre dischi e una raccolta con i The Harpoons e altri tre a suo nome sa quali sono i suoi punti forti, quelli deboli e si comporta di conseguenza. Diverte con il doo – woop vecchia scuola di “Pot Holes”, il pop teatrale e melodico di “Wobbly” e “Hark! To The Music”, la distorsione diabolica di “Tip Of A Match”. Ma sa anche quando è il caso di fare le cose sul serio. E ci sono momenti, durante “Perpetual Motion People”, in cui preferisce abbassare il ritmo e riflettere quasi stesse cercando la strada per la sua personale l’Isola Che Non C’è. “Haunted Head” sembra una pagina tratta a caso da un racconto di Bukowski, la cronaca spassionata di quei risvegli pericolosi post serata alcolica che Furman aveva già  descritto a dovere in “Day Of The Dog”, attimi in cui l’unica cosa da fare è seguire le orme di una sporca routine. “Hour Of Deepest Need” è a suo modo ancora più scioccante, una ballata folk sincera e bagnata di whisky in cui Ezra getta la maschera e ammette: “I never knew quite how to be alone”. Ma la vera sorpresa è “Watch You Go By”, elegantissima e dal mood quasi jazz, in cui questo ragazzo di Chicago trapiantato a San Francisco mette in mostra il suo lato più vulnerabile.

“I don’t wanna be the bad guy” canta in “Lousy Connection” ed è quasi come se lo stesse dicendo al se stesso di qualche tempo fa, quello che voleva solo autodistruggersi e che faceva dell’essere un “Bad Man” quasi un vanto. Ezra Furman è cresciuto insomma. Prima affermava convinto di voler vivere la vita giorno per giorno, in modo disciplinato, oggi invece si dichiara orgoglioso di esistere in uno stato di ambiguità , di indecisione perenne. Di strada ne ha fatta tanta da quando apriva, senza molte pretese, il concerto dei Nada Surf nel 2012 a Ravenna col suo vestito a fiorellini. Il vestito da cinque dollari c’è ancora, ma l’uomo che lo indossa adesso vuole di più. “Body Was Made” potrebbe essere la sua canzone manifesto e “Can I Sleep In Your Brain?”, oltre ad avere un gran titolo, è probabilmente quella che lo rappresenta di più musicalmente parlando: una torch song che inizia piano e poi s’arrabbia. “One Day I Will Sin No More” promette Ezra Furman alla fine. Invece speriamo che continui a lungo.