Aveva attirato l’attenzione su di sè già  nel 2013 con l’uscita di “Cut 4 Me”, un album/mixtape curato dall’etichetta di Los Angeles Fade To Mind e piaciuto praticamente a tutto l’internet e a tutta la critica. Quella volta la cantante di origini etiopi aveva avuto il ruolo di vocalist, mentre le basi dei pezzi erano state create dal gruppo di dj delle label Night Slugs e Fade To Mind appunto (una sorta di consorelle al di qua e al di là  dell’oceano).

Ora, a distanza di circa due anni, Kelela ritorna con un lavoro tutto suo; e certo non sorprende l’attesa che la circonda. Così come non sorprende che si tratti di un ritorno super accessoriato con produttori quali Arca (Kanye West, FKA Twigs) e DJ Dahi (Drake, Kendrick Lamar). Non si tratta ancora di un album vero e proprio, bensì di un EP di sei pezzi, arrivato per di più in ritardo di quattro mesi sulla tabella di marcia. Ma si perdona tutto a questa seducente promessa: dalle scadenze bucate ai dreadlocks. Un pezzo come “A Message” – uno dei due singoli pre-EP, nonchè probabilmente punta più alta di “Hallucinogen” ““ non ci mette nulla ad invischiarti nel suo lento andirivieni e trascinarti via, in un delicato e voluttuoso moto ondoso. Meno ondose e più articolate, ma sempre da atmosfera soffusa e toni bassi, sono le tracce “Gomenasai” e “All the way down”, la prima delle due prodotta da MA dei Nguzunguzu, già  produttore in “Cut 4 Me”. L’intero EP in realtà  sembra voler mantenere un profilo contenuto. “Rewind”, l’altro singolo uscito come anticipazione – è l’unico pezzo che aumenta il ritmo e suona vagamente dance. Anche l’episodio di chiusura in realtà , “The High”, si discosta leggermente dal corpus dell’EP, ma in questo caso per via di un atmosfera scura e ruvida, che ci riporta alla mente il precedente “Cut 4 Me”.

Parlando della musica di Kelela si è parlato di Futuristic R&B e Electro R&B, accomunando il suo nome a quello di FKA Twigs, ma anche a quelli di Janet Jackson e The Weeknd. In particolare in “Hallucinogen” convivono due aspetti diversi del suono: quello più sofisticato e impalpabile, dato perlopiù dai synth dei tappeti sonori e dal formato atipico di pezzi come “Hallucinogen”; e quello più famigliare e immediato, più pop-soul, più rassicurante. Quest’ultimo creato soprattutto con abile grazia dalla voce di Kelela, capace di mantenere la sua attitudine intimistica e carnale, e di creare al contempo trame primitive e avveniristiche.

Se questo è il 2.0 del soul e del R&B, ci è andata bene. Nell’attesa dell’album vero e proprio, possiamo divertirci ad immaginare come suonerebbe un’ipotetica futura hit firmata Kelela; probabilmente come un’elegante pop song dalle mille influenze, magari con una tacca in più di beat e volumi, e un featuring con un A$AP Rocky. Non dimentichiamoci che siamo nel 2.0.