Un paio di anni fa mi sono innamorato di quattro ragazzi.
Si chiamavano Parquet Courts e presentavano un suono sfacciatamente retrò e lo-fi.
La cosa fu, per me, una in particolare: avere la percezione di aver soddisfatto un bisogno che pensavo non mi appartenesse più.
Perso com’ero (e sono) tra casse dritte e derive indie-snob non avvertivo come prioritaria una sana cavalcata punk.
Lo era.
Ed era (ed è) pure un ottimo sottofondo per passeggiare per Bologna.

Quindi, insomma, li conosco bene questi ragazzi e mi piacciono pure parecchio.
Ed è proprio per questo motivo che “Monastic Living” mi ha fatto così male.
Un loop infinito di chitarre distorte e synth traballanti che sfocia nel nulla più totale.
Alternato a brani brevissimi in cui sostanzialmente si applicano gli stessi schemi ma “si fa un po’ più casino”.

Una mezz’ora in cui non succede nulla ed in cui si salva solo l’intro: una trascinante No, No, No! In cui per un minuto scarso si rivive la stessa rabbia e la stessa attitudine sporca e rock degli album precedenti.
Troppo poco, un minuto di gioia per mezzora di noia.

C’è veramente poco altro da dire: un EP piatto che non fornisce il minimo spunto ed il minimo sussulto.
Non è sperimentazione, non è una rottura degli schemi. Solo un eccentrico disordine, senza capo nè coda.

C’è da chiedersi se sia una sbandata o semplicemente è proprio il futuro della band newyorchese ad aver sterzato bruscamente.
La verità  probabilmente sta nel mezzo: dopo due primi album ottimi ed un terzo, sotto lo pseudonimo di Parkay Quarts (ma chi saranno mai?!) , abbastanza piatto, i ragazzi sono scivolati bruscamente con questo EP, lasciandoci nello sconforto ma rialzandosi abbastanza in fretta.
Il nuovo singolo Dust rilasciato poche settimane fa come apripista per il nuovo album “Human Performance” lascia intravedere infatti la proverbiale luce infondo al tunnel. Niente di eccezionale ma perlomeno si torna a trovare una forma-canzone.
Quindi, questi livelli così bassi magari non li toccheranno più, ma un po’ di smalto se n’è andato.

Insomma, tirando le somme “Monastic Living” è veramente un album trascurabile, un vuoto susseguirsi di chitarre.
Testimone di questa totale mancanza di contenuti è pure questa recensione in cui fondamentalmente ho dovuto riempire lo spazio parlando di tutto quello che mi venisse in mente e fosse minimamente collegato a questo lavoro.
Un po’ come quando, in sede d’esame, mi fanno una domanda su un argomento particolarmente marginale, riassumibile in un paio di nozioni e per non lasciare spazi vuoti riempo i minuti con qualsiasi cosa che mi salta in mente.

Quando ascoltai il primo album dei Parquet Courts fui subito attratto dalla loro maniera di approcciarsi alla musica, già  dalla prima canzone.
Quel brano d’apertura si chiamava Master of My Craft e ripeteva con ossessione, in più punti “forget about it!”

Col senno di poi quelle stesse parole sembrano un avvertimento del gruppo stesso.
“Dimenticatevi di questo Monstic Living. Per favore.”

Credit Foto: Ebru Yildiz