Sulla scena da oltre 35 anni, Mike Scott torna con i suoi The Waterboys: e questi incroci, per noi, sono sempre graditi.

Anche perchè c’è una vitalità  e un’intensità  tali  da far invidia a tanti, tantissimi  soggetti più giovani.  E poco conta se sul piatto non  ci sia niente di sconvolgente, di veramente innovativo, di particolarmente ricercato: quando c’è passione e qualità , passa tutto in secondo piano.

Meno folk di altri passaggi (che riecheggiano, quasi in coda, in “Then She Made The Lasses-O”, ma andatevi a riprendere “Fisherman’s Blues” del 1988…), dall’incipit più pop e rock a presa diretta, genuino e contagioso, di cuore ma anche di nervi, di quello che non stanca mai: l’uno-due “Where The Action Is”-“London Mick” (dedicata, quest’ultima, a Mick  Jones dei The Clash)  è un messaggio forte e chiaro.

Bravi, senza perdere densità  e un gauss di magnetismo, anche ad abbassare i giri con “Out Of All This Blue”, con l’intima “In My Time On Earth”, accompagnata dall’acustica e dall’organo Hammond (che fa più volte capolino nel corso del lavoro),  o ancora con la delicata poesia nella chiusura affidata a “Piper At The Gates Of Dawn” a braccetto con il piano, qualche arco e fiato sullo sfondo. Provano, Mike e compagnia, anche incursioni in territori sonori a loro sulla carta meno affini, sostentati da beat e scratch, in pezzi come “Right Side Of Heartbreak (Wrong Side Of Love)” o la pimpante “Take Me There I Will Follow You”: in piena onestà , con risultati non proprio convincenti.

Prendiamo però il buono, con eroi del genere: il piacere, in casi come questi, sta nel ricontrarsi. Ancora una volta.

Photo by Paul Mac Manus