Rishi Dhir e i suoi Elephant Stone continuano il viaggio psichedelico con il loro sesto disco “Hollow”. Un concept album basato su una narrazione decisamente dispotica dove una stretta cerchia di uomini egoisti e irrimediabilmente corrotti riescono a mettersi in salvo, fuggendo dal pianeta ormai in fin di vita, per mezzo di una nave spaziale, l’Harmonia. Nonostante trovino un nuovo pianeta abitabile ed accogliente quello che resta della razza umana riesce a rovinarsi la nuova possibilità , ricadendo sempre negli stessi errori. Registrato negli studi di Dhir (Sacred Sounds) la band di Montreal ritorna ai suoni dei primi album, limitando gli esperimenti elettronici che avevano caratterizzato l’ultimo album “Ship Of Fools “che risale al 2016. La band canadese riesce ad unire elementi garage-rock alle innumerevoli sfaccettature psichedeliche, unendo i suoni del sitar a chitarre metal (“Land of Dead”) o dipingendo piccoli assoli degni di Giorge Harrison   in “Keep the Light Alive”, piccola perla che precede il pezzo forte dell’album “We Cry for Harmonya”, anch’essa con forti assonnanze Harrissoniane che ci avvolgono con le chitarre mugulanti e lamentose fino alla sfumatura finale con le tablas protagoniste. La seconda parte del disco prende una piega più elettronica con l’eccezione della non eccellente “House of Fire” e di “A Way Home”, splendida ballata spaziale, mentre “The Clamdown” ci aggroviglia nella sua dolcezza e nei suoi cambi di ritmo.

Una intrepretazione della psichedelia che senza troppe variazioni si accoda ad album e band prestigiose, come affermato dallo stesso Dhir riferendosi ad un preciso periodo storico-musicale, quello di fine anni ’60 e agli Who di “Tommy”, i Pretty Things di “S.F. Sorrow” e gli immancabili Beatles con il loro White Album. Noi ci mettimo un pizzico di Kevin Parker (più Pond che Tame Impala) e il gioco è fatto.

“Hollow” non è solo un disco pop-rock-psichedelico ma è anche uno spazio dove, per qualche momento, possiamo fermarci e riflettere sulle bellezze del nostro pianeta, goderci l’alba e il tramonto, parlare con un albero o fermarci ad ammirare una formica nel suo instancabile movimento.