Una cosa è certa: agli Enter Shikari non manca una buona dose di coraggio. “Nothing Is True & Everything Is Possible”, sesto album in una carriera iniziata ormai più di quindici anni fa, è ambizioso proprio come loro stessi ci avevano fatto intendere nei mesi precedenti la sua uscita. Il cantante Rou Reynolds, forse peccando di presunzione, si era spinto a descriverla come l’opera definitiva della band britannica. Quella in grado di presentare al meglio tutte le peculiarità  stilistiche di un quartetto che può effettivamente vantarsi di avere un approccio molto personale al rock elettronico e al post-hardcore (o di quel che ne resta, almeno).

Già  a partire dai primissimi ascolti, si ha l’impressione di avere a che fare con un disco elaborato e preparato con giudizio, curando quindi ogni minimo dettaglio. E il difetto principale di “Nothing Is True & Everything Is Possible” si cela proprio dietro questo inutile ed eccessivo perfezionismo, che in più occasioni trasforma un lavoro non privo di aspetti interessanti in una fiera del superfluo.

Con gli ultimi Muse e Bring Me The Horizon a fare da guide spirituali, gli Enter Shikari si lanciano in uno spericolato viaggio multistilistico che non offre un attimo di respiro. Subito dopo le note di piano che aprono “THE GREAT UNKNOWN”, un corposo esempio di dance rock ultra-effettato destinato a fare faville dal vivo, si viene travolti da una gigantesca onda sonora, talmente satura di elementi da assumere la forma di un indigeribile miscuglio crossover.

I generi più disparati si fondono tra loro, fino ad arrivare a dar vita a una vera e propria sagra del pop rock radiofonico più artificiale e sovraprodotto. C’è davvero di tutto in questo “Nothing Is True & Everything Is Possible”, e alcune cose non sono affatto da buttare: “{ The Dreamer’s Hotel }”, “modern living”….” e “thÄ“ kÄ­à±g”, tanto per fare tre esempi, sono davvero ottime.

Quando si mettono in testa di non strafare, gli Enter Shikari sono in grado di regalarci qualcosa di buono. Ma quando ci stordiscono a colpi di synth, rischiamo una brutta overdose di drum and bass e dubstep in salsa rock. E meglio stendere un velo pietoso su “Elegy For Extinction”, una cafonata orchestrale che sembra uscire fuori dalla colonna sonora di un blockbuster, e “Waltzing Off the Face of the Earth (I. Crescendo)”, un indistinto guazzabuglio terzinato che ci dà  la possibilità  di poter dire che no, far suonare un valzer a una sezione di fiati stonata alla Goran Bregović non è poi questa idea geniale.