Si fa un gran parlare in questi giorni della giovanissima Beatrice Kristi (cantautrice inglese di origini filippine), nota col curioso nome d’arte di beabadoobee (preso da un vecchio account Instagram) e per una volta concedeteci di dirvi che noi di Indie For Bunnies ci avevamo visto giusto nel seguirla praticamente di pari passo a ogni sua sempre più succosa uscita.

Senza spocchia – che proprio non ci appartiene – pensavamo di poter puntare sul cavallo vincente, stregati da un’ attitudine e da un piglio che, se nei primi vagiti musicali potevano relegarla nel micro-mondo del pop da cameretta (a partire da “Coffee” che risale al 2017, quando era ancora minorenne, e poi fortunatamente ripresa dal rapper Powfu, all’Ep “Patched Up” dell’anno successivo), poco più tardi ci avrebbe sorpreso innescando grandi dosi di indie rock, quello primordiale degli anni novanta.

Se poi si rivelerà  l’ennesimo fenomeno usa e getta, questo non possiamo saperlo, sta di fatto che “Fake It Flowers”, il suo agognato disco di debutto (sempre con etichetta Dirty Hit, la prima a capirne le potenzialità ) mette in ottima mostra tutte le belle doti della graziosa Bea, al netto delle inevitabili ingenuità  e delle evidenti muse ispiratrici, da ricercare da una parte in quel fiero (ed effimero ahimè) cantautorato rock che seppe imporre per una stagione le varie Liz Phair e Sam Phillips (o negli episodi più acerbi direi pure una Avril Lavigne), dall’altra nell’esperienza di nomi di culto (e di gran pregio) come Breeders e Pavement (questi ultimi addirittura omaggiati esplicitamente in “I Wish Was Stephen Malkmus”, inserita in un precedente Ep).

Se a questi si aggiunge la sua dichiarata devozione a Nirvana e Pixies avrete ancora più chiaro il polo di riferimento in cui la Nostra si sta muovendo fino a farsi largo.

Che questi nomi vengano associati a una ragazza nata nel 2000 personalmente lo vedo come un segnale positivo, perchè al di là  di un recupero di sonorità  indelebilmente legate a un’epoca d’oro, l’ultima davvero rilevante per le sorti del rock, beabadoobee riesce poi nel migliore dei modi a filtrare il tutto con la sua poetica sincera dai tratti adolescenziali ma sempre più a fuoco, connotando i brani di un’aura di freschezza e di un’interpretazione genuina.

Rimangono gli echi dei primissimi lavori, nella delicatezza acustica della splendida ballata “Further Away”, nella sognante e disillusa “How Was Your Day?” e soprattutto nella crepuscolare “Back To Mars” che giunge provvidenziale a smorzare i toni dopo le tre bombe a mano sparate in apertura del disco.

Già , è proprio il trittico posto in alto a delinearne nel migliore dei modi lo stile e le coordinate musicali e a salutare il ritorno del buon sano “pop con le chitarre”, appena appena sporcato da graffi (la produzione difatti tende sempre a contenerne l’esuberanza): dalla cadenzata e trascinante “Care” (in odor di Breeders dalle prime note fino al ritornello che, occorre ammetterlo, sa un po’ di plagio mascherato), alla iper-melodica “Worth It” per giungere all’irresistibile “Dye It Red”, ancora imperniata sull’alternanza di piano e forte.

Un bel biglietto da visita indubbiamente per un album che comprende al suo interno anche certe spigolature, come nell’intensa “Sorry” (che personalmente mi ricorda “Your Best American Girl” di Mitski, artista d’Oltreoceano che sembra aver non poco in comune con lei), in grado di esplodere letteralmente nel ritornello, inondandoci di distorsioni chitarristiche memori quelle sì dell’epopea grunge.

Un brano all’apparenza più canonico come “Horen Sarrison” denota invece i prodromi di un verosimile sviluppo musicale, forte di un ottimo arrangiamento che ne mette in luce un’anima più cantautorale.

In ogni caso eventuali cambiamenti, qui solo abbozzati, verranno buoni in futuro: per il momento beabadoobee ha preferito mostrarci sostanzialmente due facce della medaglia, con brani lenti e altri veloci, salutandoci in dirittura d’arrivo con due episodi altrettanto forti e coinvolgenti come i corrispettivi posti in cima alla tracklist.

“Together” arriva dritta come un fendente col suo ficcante pop rock, mentre la conclusiva “Yoshimi, Forest, Magdalene” recupera vibrazioni soniche, avvolgendoci sotto una pioggia di chitarre, che a noi ricordano deliziosi momenti shoegazer, tanto per aggiungere un altro ingrediente a questa proposta, magari rivisitata, ma certamente gustosissima.

L’augurio è che beabadoobee non perda la curiosità  e la voglia di perlustrare diversi territori musicali, definendo così un sempre più personale patchwork di suoni e suggestioni.