Come sono stati bravi gli Squid a creare un’aspettativa con l’attesa.

Perchè della band di Brigthon se ne parla un gran bene fin dagli esordi, collocati in quella leva post-punk albionica più alternativa e che vuole ad ogni modo uscire dal seminato, insieme a coevi come black midi e (gli amici) Black Country, New Road.
Così dopo vari singoli ed EP arrivò anche il loro esordio con questo “Bright Green Field”: aspettative non deluse, attesa ripagata.

Ollie Judge (voce principale e batteria) e sodali sanno maneggiare il post-punk più storicamente consolidato, vanno a flirtare con la new wave più ricercata tra Talking Heads e Devo, si lanciano in incursioni nel krautpop come nel rumorismo, senza però mai perdere il controllo del mezzo, a prescindere dalla velocità  di crociera e da quanto volutamente sconnesso possa farsi il terreno sotto di loro. Zeppano in cubature labirintiche, sbattono ammattiti sulle pareti per poi come perdersi nei loro caotici intrecci, ed un attimo dopo eccoli alle prese con distopiche derapate off road , in metamorfosi di scenari ed attitudini subitanee e spiazzanti.

Nel calderone ci sono tanti impulsi, tante ispirazioni, chissà  quanti ascolti, ma il tutto è rivisto con personalità , talento, tutto l’istinto che c’è, innegabile gusto avanguardistico. Cambi di passo, di giri, di ambientazioni sonore, stilistiche, d’approccio alla materia non spaventano, anzi esaltano le singole doti e i colpi dei componenti.
Momenti deboli, davvero pochi, forse nessuno; leve di forza, a bizzeffe: la lunga ed iridescente “Narrator” (e c’è la brava Marta Skye Murphy che sultaneggia nei cori), l’altrettanto avventurosa e falotica “Boy Racers” subito a seguire, o ancora si possono menzionare la carambola impazzita di “Peel St.” come la chiusura affidata a “Pamphlets” che dapprima incalza, poi si espande lavica come a cercare di forzare qualsiasi perimetro attorno a sè.

Il suono è spesso curato ben più di quanto fosse lecito immaginarsi (d’altronde c’è Dan Carey nella stanza dei bottoni, mica il fuffi), la resa è eccellente, la presa immediata: che questa allenti o annodi a seconda del contesto, di sicuro non ti lascia libero un secondo; e se nella mappa ci sono tante di quelle linee da perdere la trebisonda, tra math e jazz passando per l’elettronica ed il funk più sconclusionato, l’effetto scarabocchio/meltin’ pot è eluso con scaltrezza.

E’ come se durante una partita di poker gli Squid avessero lanciato sul tavolo, con sorriso sardonico, il Jolly: questo è il momento esatto in cui gli astanti sgranano gli occhi, perchè l’etiquette è violata, figuriamoci le regole del gioco. Il significato, il peso specifico, il valore dei soggetti, le reazioni alla mossa, li sapremo solo col tempo.

Credit Foto: Holly Whitaker