Come se nulla fosse, come se l’improvvisa dipartita due anni fa dell’eclettico Matthew Tavares non avesse alterato gli equilibri di questo formidabile combo, i rimanenti 3 canadesi decidono di continuare la loro perlustrazione nella contaminazione musicale,   rinsaldando ove questo fosse ancora possibile, il loro spirito jazz delle origini in un album conciso e brillante, dove le consuete collaborazioni esterne anche qui presenti sono meno numerose e ibride rispetto al passato, dove appunto si sente il risultato di un confronto sul chi siamo e dove andiamo che ha portato i nostri   all’esigenza di una “memoria del racconto” della propria appartenenza sonora, di un trio ritrovato, di un pugno di idee che forse nascono in un contesto d’azione più ristretto per poi contornarsi al solito di suggestioni, esperienze, trasformazioni.

Niente è più confortante e contemporaneamente sorprendente del livello qualitativo di un ensemble che ancora una volta con questo “Talk Memory” riesce a plasmare canzoni compiute, pur brevi nella loro densità , altamente emotive, dove quasi sempre l’incipit languido e suggestivo è il preludio alla vera dilatazione jazzistica in assoli semplici ma mai virtuosistici dei componenti, che aumentano la velocità  del flusso sonico, che inseguono la semplicità  di linee sinuose per poi ripiombare splendidamente in emozionanti code o intersecare questi passaggi con le partiture d’archi di Arthur Verocai,collaboratore oramai feticcio della band.

E’ un album ad inseguimenti emozionali, con gli archi che sfuggono e si riprendono come corde vibranti di un partecipazione sensoriale fortemente  connessa all’immaginario visivo, con rimandi cinematici sempre più marcati,una specie di leit motiv di ogni pezzo, da immaginari melo anni 70 a colonne sonore di scene da vertigine interiore che tanto avrebbe amato uno   sguardo per dire di un Bertolucci (“City of mirrors”) o di un Truffaut.

Si prenda ad esempio la prima canzone, “Signal from the noise”, inizio con le solite 2, 3 successioni di note che individuano il mood dell’intero pezzo, atmosfera dreamy, da stupore come un moto di speranza dopo una catastrofe o il senso di consapevolezza dopo un   fallimento, conturbazioni, sviluppo e ancora sogno, una realtà  introspettiva che dà  il senso della qualità  della vita; o un pezzo come “Beside Aprile”, vorticoso e dolce, libero di andare dove vuole, un concepimento che vive di luce propria, che ci affianca, ci molla e che alla fine riconquistiamo.

L’idea è quella di un fortunato work in progress di un terzetto pronto alle sfide per il prossimo futuro, non ‘timido, ma intimidatorio”, una memoria e una consistenza jazz che finisce con la titletrack   quasi free, frenetica, pulsante di un jazz ritrovato, dentro l’incanto di un’arpa che saluta e evoca l’antico e moderno lido dove si appoggiano gli intrecci dei Badbadnotgood, giunti a questo quinto album dopo il rischio di un sciagurato scioglimemto, rischio che non ha per niente intaccato la raffinatezza ed il gusto di questa band   unica, che rimane dentro la nuova rinascita del jazz contemporaneo ma quasi come se ne fosse un pioniere e  al tempo stesso un corpo estraneo, proseguendo con insuperata qualità  nel suo percorso contaminativo, magari con meno asperità  o slanci fuori genere, ma connotando di un sentimento unico e più compatto tutto “Talk Memory”,che gode e vive di estesi momenti   di dolce abbandono mai scontati, come se ci volessero far entrare in un gioco emozionale esclusivo, una chiamata nel loro mondo, fatto di arpeggi come onde sinuose come in “Unfolding”, decisamente la più ammaliante con questo sax liquido, irresistibile dentro i toni morbidi di una formula da pop quasi bachariano.

In questo disco è come se si sentisse l’esigenza matura di accarezzare il fascino discreto delle nostre esistenze parallele, dando un copricapo, una vestigia di prestigio alla parsimonia dei piccoli gesti, un suono che illumina e inebria il quotidiano sentire di chi ancora pensa che sia bellissimo stupirsi, farsi cogliere impreparati e quindi veri, colpiti, da quello che non è evidente, dall’ineffabile struggimento di rionciliazione col gusto del piacere,   compulsivamente trainato da queste splendide composizioni, che nascono, crescono e volano al tempo di un sospiro.

Credit Foto: Jamal Burger