Era esattamente il 23 febbraio dello scorso anno, una domenica invernale di quelle normalissime e, pochi giorni dopo il concerto degli Editors al Fabrique, che sarei dovuto ripartire, nuovamente, alla volta di Milano, per uno degli appuntamenti più attesi di quel periodo, quello della band rivelazione del 2019, i Big Thief di Adrianne Lenker, che con quei due dischi licenziati in 12 mesi, si candidavano ad essere uno dei progetti più interessanti in circolazione.

Questione di ore e sarebbe incominciata a circolare la voce del fantomatico paziente 1 di questa catastrofe sanitaria e sociale che ci ha colpito.

In contatto con amici ci si chiedeva cosa fare, ma giusto poco prima della partenza arrivò la cancellazione ufficiale da parte della band stessa. Era anche l’inizio di un’impensabile trafila che sembra si stia avviando verso la fine, ma per scaramanzia o meno, mi permetto ancora di avere dei dubbi.

Quest’introduzione personale, quanto abbastanza ovvia, per dire che da allora non ho più visto un concerto dal vivo. Occupandomi soprattutto di artisti stranieri, ci sono state davvero poche occasioni, e per chi era abituato, come il sottoscritto, ad andare a 4/5 eventi al mese, rientrare in un teatro o sala concerti che dir si voglia, direi che fa un certo effetto.

Forse non poteva esserci un nuovo inizio migliore di questo, la moderna location degli Arcimboldi e una delle proposte più carine di questi ultimi vent’anni, i Kings Of Convenience di Erland Oye (ormai siciliano a tutti gli effetti) e Erik Gianbek Boo, ritornati sulla scena con un nuovo disco “Peace Of Love” e conseguente tour per presentarlo.

Sono uno dei progetti capofila del ‘new acustic movement‘, che spopolò all’inizio degli anni zero e, sebbene con pause titaniche tra un ritorno e l’altro, sono anche l’ensemble che più ha messo radici tra un pubblico fedele e appassionato, sempre pronto ad abbracciarlo e rivederlo. “Quiet is the new loud” e “Riot on empty street” il primo prodotto da Ken Nelson (la stessa persona incaricata per fare il medesimo lavoro per i primi due fantastici dischi dei Coldplay), sono ancora due album fondamentali per capire meglio quel pezzetto di storia del folk moderno.

Venendo al concerto in sè, capienza, fortunatamente, totale e date raddoppiate; per il sottoscritto, addirittura, un’insolita, quanto apprezzata replica all’ora di pranzo, esattamente alle 13, quel tipo di spettacolo che è comunemente chiamato matinèe.

Dire che non mi sembra vero, è davvero poco, siamo in una situazione teatrale, che sarebbe, comunque, stata la stessa anche senza il covid, probabilmente mi sembrerà  tutto ancora più normale, quando mi butterò in un pogo anni 90, quasi ad apprezzare il sudore fradicio del vicino di banco.

Comunque è la cornice ideale per questo atteso ritorno e tutto fila liscio come deve essere un loro set, nessuna sorpresa, perchè gli stessi dischi lasciano poco spazio a qualcosa di diverso, di un concerto acustico appunto, leggero, spensierato che coccola l’ascoltatore come successe dal giorno zero.

Un palco minimale, senza scenografia, luci appena accennate, le chitarre che si intrecciano, le consuete voci all’unisono, Simon & Gartfunkel e tutti i marchi di fabbrica che li hanno resi celebri, quanto popolari, forse anche ben oltre ogni aspettativa.

In scaletta quasi tutto l’ultimo disco, che, come detto sopra, aggiunge poco, in termini di sorpresa, al materiale pubblicato finora, ma, altresì, si posiziona ad un ottimo livello, sempre ben oltre la piena sufficienza e le canzoni con la c maiuscola non mancano anche a questo giro, da “Ask For Help” fino al primo singolo “Rocky Trail”, la bellissima ed ondeggiante “Fever” e la mia preferita “Catholic Country”, tanto per citarne alcune, album impreziosito nuovamente (era già  successo in passato con “Know How” anch’essa in scaletta per questo tour italiano) anche dalla collaborazione con Feist in “Love is a lonely thing” e della sopracitata “Catholic Country”.

Ovviamente non possono mancare i classici ad impreziosire la setlist, quella “Misread” da “Riot on empty street” (il secondo lavoro in discografia), che ricollegandomi al pensiero di prima, li consacrò, anche un pò inaspettatamente a progetto mainstream, ma anche la bellissima “Homesick” dallo stesso disco o “Stay out of trouble” a chiudere un’ora e mezza di concerto, sostenuto quasi sempre da i due protagonisti, eccezion fatta per alcuni brani, che hanno visto il coinvolgimento di due musicisti, Tobias Hett, violinista di stanza a Berlino e Davide Bertolini, reggiano, ma residente a Bergen da diversi anni, che ha prodotto sia il secondo album (tra l’altro registrato all’Esagono di Rubiera, storico studio emiliano), sia il terzo “Declaration of Dependence“.

Non sembrano passati due lustri dal loro arrivo, pare ieri, sono gli stessi due ragazzi di allora, come se tutto si fosse fermato, per una musica, quella dei Kings Of Convenience, che è già  senza tempo e sono sicuro che tra vent’anni potremo scrivere le stesse cose, con lo stesso entusiasmo di oggi.