A quanto si può vedere dalle classifiche, Charli XCX sta finalmente vivendo la sua era da star, la beniamina del panorama pop mainstream – cosa che in realtà  aveva già  avuto modo di assaporare con il secondo album “SUCKER”, anche se solo in parte. Sicuramente non abbiamo più davanti la ragazza ribelle piena di matita per gli occhi che cantava di quanto fosse eccitante infrangere le regole, anzi. Per quanto riguarda “Crash”, miss Aitchison  sapeva bene cosa voleva creare, aveva in mente un ritorno prepotente agli anni d’oro del pop, un omaggio a Janet Jackson e la conquista definitiva dello scettro di reginetta del momento. Viste le premesse e ciò che l’artista è stata capace di creare in ambito hyperpop (come dimenticare l’impatto che ha avuto “how i’m feeling now?), le aspettative non potevano che essere altissime. E purtroppo, come capita spesso quando si hanno aspettative così alte, non hanno esattamente trovato un riscontro nella realtà . Ma procediamo con ordine.  

Una volta uscito il primo singolo dall’album, “Good Ones”, tutti hanno iniziato a gridare al capolavoro dell’anno. Concept brillante, omaggio agli Eurythmics, atmosfere dark con rimandi al disco d’esordio “True Romance”. La dark lady ha letteralmente ballato in intimo sulla tomba di tutto ciò che si lascia alle spalle: la vecchia Charli non c’è più e va benissimo così, non ha senso (nè ne ha mai avuto) l’idea di creare musica alla mercè dei fan, delle etichette, dei generi musicali. Ha dimostrato di volere (e sapere) svendere l’anima al diavolo, sì, ma rimanendo comunque fedele a se stessa. Come suggerisce la copertina del disco, Charli vuole presentarsi come un piacevole incidente, un fulmine a ciel sereno che crea uno splendido caos attorno a sè.

Gli altri singoli hanno però iniziato a far intravedere qualche crepa nell’apparente album pop dell’anno. Ogni pezzo vuole essere un omaggio, un modo per celebrare la musica pop dagli anni Ottanta ai primi anni Duemila, ma finisce sempre per risultare in mero citazionismo. Tocca dire che “Beg For You” ha deluso, probabilmente anche per la presenza di Rina Sawayama (dalla quale, dopo il magistrale disco eponimo, ci aspettavamo sicuramente più originalità ). Onorevole sicuramente il rimando a “Cry For You” di September, non fosse che è esattamente identica alla canzone originale – a tratti pare sia una cover, più che un’altra canzone. Il sampling è un’arte da maneggiare con cura, ancora di più se si riprendono pilastri della cultura pop come questo; a malincuore, bisogna ammettere che un feat. con Rina poteva (e doveva) uscire molto meglio. “New Shapes” tenta di ricreare con Caroline Polachek e Christine and The Queens una girl band (quasi) degna erede delle Seduction. Molto intrigante il bridge con la voce quasi robotica di Caroline, ma nel complesso non è un brano particolarmente esaltante. Forse, solo su “Baby” non c’è molto da ridire: è sicuramente ben riuscito, se non uno dei migliori dell’album: è sensuale, uno dei momenti da diva pop più alti del disco.

Di tutto il resto dell’album sono pochi i pezzi che davvero si salvano, “Lightning” in primis. Il che può sembrare paradossale, dato che ricorda molto il sound dell’ormai lontano “True Romance” – disco spesso poco considerato e che ai tempi dell’uscita vendette molto poco, ma che vale decisamente la pena recuperare. Da segnalare poi “Selfish Girl”, “How Can I Not Know What I Need Right Now” (presente nella versione Deluxe), e “Yuck”. Per quando riguarda tutti gli altri brani, purtroppo non è abbastanza per convincerci: per diventare la regina del pop non serve imitare mostri sacri del genere, Charli. A volte, basta davvero metterci la personalità .