Credit: Gorup de Besanez, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

Queste sono le mie canzoni; quelle a cui sono più legato. Le prime ad essermi venute in mente mentre le appuntavo su un foglietto di carta. Chi leggerà  avrà  il sacrosanto diritto di dirmi “hai lasciato fuori questa e quest’altra” o di farmi notare che ho preso in considerazione soltanto una minima parte della lunga carriera di Dalla. Semplicemente, ho cercato di trovare il miglior modo di ricordare Lucio, tentando di mantenere un giusto equilibrio tra cuore, pancia e testa.

Ciao, Lucio.
(Marco Renzi).

Com’è Profondo il Mare
1977, da “Com’è Profondo Il Mare”

Una canzone bella talmente che non ci si crede. Quel fischio che ha un che di morriconiano che si colora di leggera psichedelia. Quando comincia il cantato, parole e musica divengono cosa sola: ogni strofa è più incredibile della precedente, ma le lacrime cominciano a scendere già  dai primi versi.

Non solo una delle più grandi canzoni di Dalla, ma uno dei più bei momenti della musica italiana tutta.
(Marco Renzi)

Cara
1980, da “Dalla”

In una mia classifica di cantautorato italiano, questa starebbe senz’altro tra le prime dieci. Di una bellezza commovente, di cui mi vergogno anche a scrivere. Le parole di Lucio dicono già  tutto: amore che si respira ad ogni verso, negli arpeggi di chitarra acustica, in quella melodia all’inizio un po’ frammentata ma che si fa poi sempre più limpida, intrisa di sentimento; di poesia.

E io qui che sto morendo / e tu che mangi il gelato. Amen.
(Marco Renzi)

Lunedì, Cinema
1986, da “Canzoni Alla Radio”

potrà  sembrare una scelta un po’ così, tra il nostalgico e il nazionalpopolare. Ormai lo sapranno anche le colonne che quel dub de be de du bu du dà  apparteneva a lui, accompagnato dagli Stadio; ma mi piace pensare che qualcuno, a distanza di tantissimi anni, si stupisca ancora oggi apprendendo l’interprete e l’autore di questo surreale brano.

Magari il film che lo seguiva faceva pena e manco lo guardavi, ma lui c’era sempre, una garanzia: la voce, il non-sense, la linea di basso super ““ funky, sax e chitarra che spiccano letteralmente il volo. Un suono che sembrava provenire da tutt’altro paese; o forse da tutt’altro pianeta.
(Marco Renzi)

Anidride Solforosa
1975, da “Anidride Solforosa”

Ne ho scelti due, tra quei dieci capolavori contenuti nel disco che per l’appunto porta proprio questo titolo. Però, “Ulisse coperto di sale” o “Non era più lui”, tanto per dirne altre due ci sarebbero state comunque da Dio. Un Dalla musicalmente più folle e sghembo, “avanti anni luce” direbbero in molti.

E in effetti è così: senza ancora la consapevolezza di saper scrivere testi stupendi, le parole sono ancora affidate a terzi, in questo caso al poeta Roberto Roversi. Per informazioni sull’influenza di brani come questo, domandare, ad esempio, ai Marta Sui Tubi.
(Marco Renzi)

Tu Parlavi Una Lingua Meravigliosa
1975, da “Anidride Solforosa”

E questa è la seconda. La parola “meravigliosa” è già  contenuta nel titolo, e quindi è inutile stare a ripetersi. La conclusione del Lato A di “Anidride Solforosa” è qualcosa che arriva dritto al cuore; qualcosa che a livello melodico ed armonico tocca le vette della perfezione, dove tanto per cambiare spiccano pure le grandi doti vocali del suo interprete e autore.

Piacevolmente (ri)scoperta diversi anni fa grazie alla personalissima rilettura dei Diaframma (http://www.youtube.com/watch?v=df5reW8c7Bg) in versione confidenziale.
(Marco Renzi)

Ma Come Fanno I Marinai
1979, da “Banana Republic”

Forse il più celebre dei brani tra quelli concepiti ed interpretati in coppia con l’amico De Gregori; ma senz’altro anche uno dei più riusciti. Un episodio simpatico, scanzonato ed atipico, sia nel suo incedere che rimanda ad uno stornello popolare, nell’armonia delle doppie voci; nella velata malinconia del testo. Un gioiellino.
(Marco Renzi)

L’Anno Che Verrà
1979, da “Lucio Dalla”

un altro momento di grande ispirazione, dove successo e popolarità  camminano di pari passo con una elevatissima qualità . Una di quelle che più è rimasta indelebile nella memoria collettiva, quella che per tanti è “caro amico ti scrivo”. Elogiata sia dagli addetti ai lavori che dalle massaie, cantata chitarra e voce intorno ai falò o in squallidi Karaoke bar.

Ovunque la si senta, rimane uno dei migliori esempi di cantautorato italiano di tutti i tempi, dove il valore letterario del testo si unisce ad una forza Pop che in Dalla era sempre stata un po’ di casa.
(Marco Renzi)

Balla Balla Ballerino
1980, da “Dalla”

Per l’amico che qualche anno fa si trovava sul treno Palermo ““ Francoforte. L’apertura dell’altro capolavoro omonimo, “Dalla” (1980): un inizio col botto che dice tutto, per l’impressionante leggerezza con la quale scivolano le parole, che pian piano si sciolgono in una carica Soul che in pochi in Italia hanno avuto.
(Marco Renzi)

Quale Allegria
1977, da “Com’è Profondo il Mare”

che ti ho cercato per una vita senza trovarti /senza nemmeno la soddisfazione di averti e vederti andare via. Sempre da “Com’è profondo il mare”, che rimane uno dei suoi dischi più belli, quello in cui si rese conto di essere un mostro anche a scrivere testi, anche migliori di quelli scritti da altri. Senza nulla togliere a gente come Roversi, eh.

Ma il fatto è che un testo e una musica come quelli di “Quale allegria” ti riconciliano col mondo e con la musica italiana: qualsiasi nemico dei cantautori sarà  costretto a rivedere le sue convinzioni e a farci momentaneamente la pace. Anche perchè Dalla, come musicista, li ha sempre superati un po’ tutti.
(Marco Renzi)

4 Marzo 1943
1971, da “Storie di casa mia”

Ma non poteva mancare in questa lista; proprio perchè la data in cui è stato dato l’estremo saluto a Lucio è anche la stessa di questa canzone, ossia quella della sua venuta al mondo. Parliamo di uno dei primi lavori, “Storie di casa mia” (1971), che gli diede molta più notorietà , soprattutto grazie al pezzo in questione, che fu presentato al Festival di Sanremo. Ovviamente, non c’è niente di autobiografico nella storia narrata dal testo della paroliera Paola Pallottino, che infatti doveva intitolarsi “Gesù Bambino”.

Chi lo sa, magari è stata pure la censura bigotta dell’epoca a conferire a questa grande canzone un alone quasi mitico, specie se si guarda alla clamorosa chiusura, anch’essa al tempo censurata: e anche adesso che bestemmio e bevo vino / per ladri e puttane sono Gesù Bambino. Ascoltarla oggi, in particolar modo in questi giorni, è senza dubbio un’emozione ancor più grande.
(Marco Renzi)

Mille Miglia
1976, da “Automobili”

Contenuta nel capitolo conclusivo della trilogia sul futuro dell’automobile, “Mille Miglia” (insieme al suo più famoso corollario “Nuvolari”) si distacca dal tono polemico, disilluso e sognante che caratterizza l’album per proporsi come magnifico poema epico contemporaneo.

Le automobili del titolo del disco non sono, in questo pezzo incredibile, soltanto cifre, neppure rovine fatiscenti nè prodigiosi trasporti futuribili ed ecologici; ma mitici razzi su cui gli eroi (che sono bassi di statura e sporchi come cani) del secondo dopoguerra italiano si sfidano in una “corsa epica” e “spaccacuore”, “vera crocefissione, esecuzione d’orchestra”.

Le parole di Roversi sembrano indicarci il ricordo glorioso delle “Mille Miglia” che univano i paesi e l’Italia come unico riscatto per una tecnologia dannosa ed alienante; la musica e il canto di Dalla sottolineano la forza unificatrice dell’avvenimento, simulando la tensione della gara, il continuo rincorrersi di quei “campioni famosi per il mondo”, il giusto substrato folkloristico.
(Nicolò “Ghemison” Arpinati)

CORSO BUENOS AIRES
1977, da “Com’è Profondo il Mare”

Il poeta ed ex-collaboratore Roversi definì i testi del primo Dalla cantautore volgari e commerciali, ma viene presto smentito dai fatti: l’immigrazione e la spaccatura italiana tra meridione e settentrione erano temi cari al duo, ma non vengono dimenticati neppure dal Dalla paroliere che li affronta, però, con piglio ironico e grottesco.

“Corso Buenos Aires” è la rappresentazione assai jazzata (tra gli apici dell’espressività  di Lucio: esagerazioni scat e versi lunghissimi, impossibili da interpretare per chiunque altro) del pomeriggio di padre e figlio giunti a Milano in gita da Barletta: un susseguirsi di pregiudizi, iperboli e quelle immagini dimesse e poetiche tanto care al bolognese.
Uno dei vertici più alti del Dalla pungente, tragicomico e sarcastico.
(Nicolò “Ghemison” Arpinati)

Siamo Dei
1980, da “Dalla”

“Dalla” contiene alcuni tra i momenti più giustamente famosi della discografia del suo autore, certamente alcune tra le più riuscite e toccanti opere di Lucio (“Futura” e “Cara” su tutte), ma è impossibile dimenticare “Siamo Dei”: quel sound così internazionale, dove s’incontrano caraibi e wave, è il perfetto tappeto in cui si sviluppa il siparietto organizzato da Dalla che interpreta rispettivamente una qualche altezzosa divinità  accusatoria e un mortale prima sbruffone e cazzaro, poi sempre più incazzato e infine umanamente sensibile, commovente: è eterno anche un minuto, ogni bacio ricevuto dalla gente che ho amato.
(Nicolò “Ghemison” Arpinati)

Mela Da Scarto
1975, da “Anidride Solforosa”

Fateci caso: Dalla è il cantore perfetto per i poveri e i diseredati, forse per colpa della figura tozza, della barba incolta, di quell’aspetto trasandato e così adorabile. Anche i suoi parolieri dovevano pensarla in questo modo: Paola Pallottino gli affida “4 marzo 1943”, la coppia BardottiBaldazzi gli regala “Piazza Grande” e persino Roberto Roversi nei tre album composti insieme non si dimentica di questa affinità  del grande cantante e scrive “Mela Da Scarto”. Meno famosa delle altre citate è un piccolo capolavoro le cui delicate parole trattano della delinquenza minorile e degli interminabili, surreali e tragici soggiorni nei carceri per minori (il confine del mondo che ci fa degni di entrare tra i buoni cittadini); mentre Dalla, oltre all’interpretazione sghemba e tenera, inventa con fisarmonica, contrabbasso e cori un folk tutto italico e nostalgico.
(Nicolò “Ghemison” Arpinati)

TRENO

dal disco “Henna”
[1994]

Apparsa sin dai primi dischi e proseguita lungo tutta una carriera (dal “Treno A Vela” al “Palermo-Francoforte” che l’agile ballerino deve fermare con le proprie mani), è palese la fascinazione di Lucio Dalla per i treni.

Questa canzone, tratta dall’ultimo grande disco, ne è ennesima e malinconica conferma: un blues tzigano, elettronico e romantico che esalta la trasversalità  del mezzo e congeda il sanguinoso novecento europeo.
(Nicolò “Ghemison” Arpinati)