Accantonati i coraggiosi e riusciti esperimenti dell’innovativo “Post Self”, i Godflesh tornano a sonorità più classiche con il nuovo “Purge”. Un album che, sin dal titolo, richiama alla memoria “Pure”, un’opera di grande importanza per l’evoluzione dell’industrial e del post-metal.

Credit: Bandcamp

Nel 1992 non poteva esserci nulla di più fresco della rivoluzionaria unione tra drum machine, samples, influenze hip hop, pesantissimi riff di chitarra dal gusto ipnotico e rocciose linee di basso. Oggi questi suoni li abbiamo ascoltati un po’ ovunque – persino in versione “addomesticata”, nel contesto del sempre vituperato nu metal – e non rappresentano una grossa novità.

Ma la premiata ditta formata da Justin Broadrick e G. C. Green resta e resterà per sempre garanzia di qualità ed eccellenza. D’altronde, nella loro lunga e frastagliata carriera, i Godflesh non hanno quasi mai commesso errori. E non inizieranno a farne oggi, in questa nuova fase dal piglio un po’ nostalgico e autocelebrativo.

“Purge”, seppur non rappresenti in alcun modo una caduta di stile, sembra essere leggermente meno ispirato rispetto alle due precedenti fatiche post-reunion (“A World Lit Only By Fire” del 2014 e il già citato “Post Self” del 2017). Gli estimatori del duo britannico, tuttavia, non hanno nulla da temere, perché la flessione è quasi impercettibile e la qualità della proposta resta alta, quando non addirittura altissima.

La cattiveria e il marciume che filtrano da pezzi come “Land Lord” e “Lazarus Leper” ce la possono regalare solo i migliori Godflesh. Le emozioni non mancano ma l’impressione generale è che Broadrick abbia in parte mollato la presa per quanto riguarda l’aspetto creativo. Il risultato è un album bello ma totalmente privo di rischi, dal sound classico e in linea con i marchi di fabbrica del passato.

Nel gelido e disumano “Post Self” c’era almeno un genuino desiderio di ammodernamento: il sogno – o incubo, che dir si voglia – di un industrial metal aggiornato all’era del trumpismo, della post-verità e delle dipendenze tecnologiche. In “Purge” tutto questo manca. Nessun cataclisma sonoro per un disco che sembra sbucar fuori dal 1993. Ma poco importa: i Godflesh suonano bene anche quando si limitano a fare il verso alle loro vecchie produzioni.