Fred Abong è un musicista che ne avrebbe di storie da raccontare. Ha suonato la batteria in gruppi hardcore negli anni ottanta per poi passare al basso, prima nei Throwing Muses poi nei Belly con  Tanya Donelly e oggi ricopre lo stesso ambito ruolo nel  Kristin Hersh Electric Trio dopo un periodo piuttosto lungo in cui alla musica ha preferito gli studi universitari e l’insegnamento.

Credit: Fred Abong

 L’indole rock e lo spirito DIY in realtà non si sono mai spenti, come già dimostrava “Yellowthroat” disco del 2020 che ha preceduto “Fear Pageant”, uscito per la Disc Drive di Seattle. Album che nasce dall’acquisto di una nuova chitarra: la Gretsch Rancher Penguin color oro su cui sono stati composti tutti questi dieci brani. Feeling immediato  quello tra Abong e lo strumento che propizia un tono più intimo e confidenziale tra alt – folk e dolce psichedelia.

Atmosfera evocata in “Father” e “Half Wit” con minimali arpeggi ripetuti, drum machine, tastiere e nel sound western della title track. La voce baritonale di Abong si adatta perfettamente alla spettrale “Hungry Ghost” e agli arrangiamenti più complessi di “Bats”, ma il punto di svolta di “Fear Pageant” è senza dubbio la dolente “America 808″ che tra sintetizzatori e tratti autobiografici parla d’immigrazione, di famiglia e radici.

La seconda parte dell’album torna spesso su questo tema caro ad Abong (che è di origine filippina) evocato nel singolo “My Way”, in “Shadows” con le sue ombre misteriose, tra gli accordi e le tastiere di “Reservoirs” che ha l’indole del più riflessivo, tormentato, distorto dei blues, nella quiete solo apparente di “Sailor” in realtà piena di dubbi. Scherzando ma non troppo Fred Abong ha definito “Fear Pageant” un nuovo capitolo del suo infinito dramma personale, in cui non è assolutamente difficile identificarsi.