La voce di Mark Kozelek è come intrappolata nel passato. Per modulazione e tonalità  è destinata a regalare la forte patina di malinconia che solitamente si applica a quelle storie che sanno di ricordi, di belle cose che non ci sono più e di ferite che ogni tanto si fanno sentire. E così si finisce sempre per affondare il cuore in un posto morbido, comodo e subdolo allo stesso tempo. Alleviare piccoli o grandi dolori con la tranquillità  di un’acustica ed una voce immersi nel silenzio circostante è un piccolo tranello al quale è impossibile sottrarsi. Un’altra gita fuori porta nelle trame sottili dei Sun Kil Moon, un nuovo monolite di ben diciassette tracce (più un disco bonus con versioni live e alternative di alcuni brani) che potebbe in qualche modo spaventare. Invece l’incanto è quello di sempre, le armonie non cambiano di una virgola, anche se un approccio un po’ più asciutto sul singolo brano si avverte: meno canzoni sopra i sei minuti di durata e più gemme di malinconia destinate ad affondare immediatamente il colpo.

Kozelek non si sottrae a se stesso e lascia fluire sentimenti e sensazioni, disegnando sinuosi ed autunnali ritratti folk fatti di ampi spazi aperti, penombra a perdita d’occhio e piogge perenni che farebbero invidia alla Seattle di The Killing. Il forte senso di tristezza desolante di alcune precedenti produzioni lascia il posto ad una più compassata malinconia, procedendo di pari passo alla rilassatezza di fondo senza sprofondare nella noia. Il Nostro conosce una sola strada verso la personale redenzione e non intende cambiarla. A noi non resta che ripercorrerne le orme con la migliore delle predisposizioni. I Sun Kil Moon sono tornati a cristallizzare il loro autunno perenne in tutte le stagioni possibili, non c’è estate che tenga e a noi non dispiace affatto.