Henry Laurisch, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons

James Blake torna a Milano per presentare l’ultimo album appena pubblicato, “Playing Robots Into Heaven“: questo il titolo, uscito l’8 settembre, è il settimo lavoro sulla lunga distanza, tenendo in considerazione anche l’esperimento “Wind Down”.

Il classe ’88 non può che essere considerato uno degli artisti più importanti della sua generazione, e al di la di gusti personali, un artista, che ha realmente tracciato un solco nella musica degli anni dieci.

Una via seminale, assolutamente inedita e di valore, capace di coniugare un cantautorato, anche classico di per sé, con l’elettronica, a volte più sperimentale.

Un esordio omonimo folgorante e un sophomore “Overgrown” che vinse il Mercury Prize, giusto per sottolineare ancora l’importanza del songwriter londinese.

Dicevo un album nuovo, che arriva puntuale a distanza di due anni dall’ultimo album di canzoni, uscito nel 2021, ed è il leit motiv di questo tour europeo, che parte proprio da Milano, un lavoro che mischia sapientemente atmosfere da club ad alcune canzoni di grande valore, tra le più belle in assoluto del suo repertorio, una raccolta che mostra ancora di più i due lati della medaglia di un percorso inattaccabile.

Unica data in Italia, che passa dal Fabrique, che, stasera, è un bel colpo d’occhio, la venue è praticamente esaurita, ma nel locale di via Gaudenzio Fantoli si sta sempre bene, considerato, non solo dal sottoscritto, come uno dei posti migliori in Italia per la musica live, non tanto per l’estetica, che è moderna e convenzionale, ma per la resa sonora, sempre ottima, come stasera del resto, la conformità agevola la fruibilità, perché alla fine, ovunque ci si metta, il risultato è sempre la stesso e dulcis in fundo, sicuramente la dimensione ideale per un artista, quindi un palco importante dove poter allestire una produzione considerevole, ma al tempo stesso, ancora “a portata di mano” per empatizzare con il pubblico.

La forza di Blake è quella di essere, con nonchalance, un produttore di grido, sostanzialmente un tecnico, come per esempio nell’abituale e osannata versione di “Limit to your love” di Feist, caposaldo del suo repertorio dal giorno zero, quindi una “Loading” dall’ultimo album, bellissima sia per le scelte di gusto in fase di vestizione, ma soprattutto per una matrice di fondo eccellente, senza azzardare, una delle canzoni più belle di questo 2023.

Questi ultimi sono passaggi obbligati di una setlist, che era all’oscuro, proprio perché, come detto sopra, parte oggi il nuovo tour europeo.

Dopo un dj set warm up affidato ad Actress, collaboratore stretto sul palco anche con Blake, i tre musicisti partono puntuali per le 21,30, tre postazioni, tra muri di synth, pianoforte, un batteria semi acustica e spunta anche una chitarra, per dare un contributo analogico ad un sound sintetico al 100%.

Inizia un concerto che è davvero un piccolo viaggio tra atmosfere da club, raffinate ed ossessive alternate alle canzoni, bellissime, di un vero songwriter.

L’iniziale “Asking to Break”, puntuale e rompighiaccio, ruolo già ricoperto nell’ultimo album, la sempre presente “Life round here” da “Overgrown”, il soul di “Can’t believe the way we flow”, o il mantra house di Voyeur” le abituali e immancabili cover come la sentita “Hummingbird”, chiudono i dieci minuti di “Modern Soul” per l’unico bis.

Un’ora e tre quarti di set, una ventina di brani, lui impeccabile, una voce da grande performer, un sound glaciale, dai bassi sintetici a completare un wall of sound futurista.

Un concerto praticamente perfetto di un grande artista, vero e maniacale come la sua arte, per continuare a tracciare un solco della musica che verrà.