È con grande piacere che ritroviamo il leggendario Andy Taylor, chitarrista e membro originale dei Duran Duran, di nuovo alle prese con un album solista. Escludendo “Dangerous”, una sfortunata raccolta di cover pubblicata nel 1990 e irreperibile sui servizi di musica in streaming, dovremmo fare un viaggio indietro nel tempo di ben trentasei anni per rintracciare il predecessore di questo disco. Mi riferisco all’ingiustamente dimenticato “Thunder” – un buon lavoro di hard rock stile ’80s, melodico ma potente, scritto e registrato con la preziosa collaborazione di Steve Jones dei Sex Pistols.

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Nel curriculum tante produzioni di successo e, dal 2001 al 2006, persino un trionfale e insperato ritorno nella band di Simon Le Bon. Una collaborazione terminata in circostanze mai del tutto chiarite, interrottasi nel pieno delle registrazioni di un album pressoché completo ma mai pubblicato (il misterioso “Reportage”).

Dopo la seconda rottura con i Duran Duran c’è stato un silenzio di quasi quindici anni. Nel mezzo il terribile shock per la diagnosi di un tumore alla prostata ormai in stato terminale. Le cure all’avanguardia cui si sta sottoponendo Taylor gli hanno permesso di rimettersi in pista e riprendere con entusiasmo la sua attività artistica. Un riavvio a pieno regime stimolato anche dal desiderio dei suoi ex colleghi di coinvolgerlo nel nuovo disco “Danse Macabre”, in uscita il prossimo 27 ottobre.

Tutte queste difficoltà e sfide hanno lasciato un segno importante nelle undici tracce di “Man’s A Wolf To Man”, un album dalla gestazione lunga e dallo stile eclettico. Andy Taylor, qui anche in veste di cantante, prova in tutti i modi a stupire gli ascoltatori; in poche occasioni però riesce a rendere davvero interessante un disco sì maturo, ma povero di idee e dal sapore stantio.

Partiamo dalla scelta dei suoni. L’impressione generale è che per la produzione di “Man’s A Wolf To Man” siano stati spesi pochi soldi. Non tutte le canzoni godono di un sound in linea con il genere proposto. Si inizia benissimo con il glam/pop rock dal gusto tipicamente britannico della title track e di “Influential Blondes”, dove si segnalano ottimi inserti acustici in stile boliano/bowieano. Le prime difficoltà si avvertono già nella terza canzone della lista, “Did It For You”, un non esaltante esercizio di rock orchestrale impreziosito però da notevoli assolo di chitarra elettrica e armonica.

Andy Taylor esplora la sua più che nota passione per il rock (uno dei motivi che lo spinsero a lasciare i Duran Duran prima della svolta funky di “Notorius”) in un disco che guarda al genere con una visione larga ma obsoleta. E allora diciamolo pure, con il massimo rispetto sia per l’artista che per gli ascoltatori più attempati: questo lavoro trasuda vecchiume. Tanta stanchezza, poca curiosità, zero classe duraniana e voglia di sperimentazione.

Pezzi come “Try To Get Even”, una ballad dal sapore country cantata in duetto con la star australiana Tina Arena, o l’ energica “Gotta Give”, un mezzo plagio dei Rolling Stones, non sono malaccio ma irritano per la loro totale assenza di personalità. Si tratta di blando rock melodico: il marchio è mainstream ma la data di scadenza è stata superata da un secolo.

Da piena bocciatura il punk all’acqua di rose di “Getting It Home” (una canzone in realtà molto godibile ma deturpata da suoni atroci, degni di una demo a basso costo) e il funk rock sintetico di “Reachin’ Out To You”, una specie di insulto alla memoria dei Power Station.

Taylor non è un cantante di razza – e ne è consapevole anche lui: la sua voce spesso è sepolta nel mix o stravolta da fastidiosi effetti. Sicuramente però è un musicista di grande livello che, nonostante il dramma della malattia, la lunga pausa e la carriera incostante, avrebbe potuto regalarci qualcosa di meglio rispetto a quanto sentito in “Man’s A Wolf To Man”. Un album non del tutto brutto ma superfluo e povero, non all’altezza del suo autore.