Gli Elbow sono una band che si lascia voler bene perché ogni loro produzione è sempre accompagnata da una azzeccata ventata innovativa. Anche in questo caso le novità offerte dal quintetto inglese non fanno eccezioni. L’apertura del loro decimo lavoro, “Things I’ve Been Telling Myself For Years”, conferma invero le loro elevate capacità di reinventarsi, facendoci immergere sin da subito, dunque, in un mood coinvolgente e piacevolmente inaspettato.

Credit: Peter Neill

L’annuncio di “Audio Vertigo” è stato accompagnato dal dirompente singolo “Lovers’ Leap”, caratterizzato da una colorata sezioni di fiati e da una poderosa linea di basso che, di fatto, hanno tracciato una linea netta rispetto al sound del precedente “Flying Dream 1”, dotato invece di una soffusa e incantevole eleganza.

Nel decimo album della compagine mancuniana si rivedono piuttosto alcune sonorità spigolose tipiche degli esordi, come nel ruvido e conturbante rock di “Knife Fight”, ancorché le sensazioni a 360 gradi del full-length rimangono comunque ancorate a melodie calde e ricercate – come la meravigliosa quanto cupa e inquietante “Very Heaven” – in realtà sempre in dote alla band.

La track list risulta essere varia nella quale è possibile dunque rinvenire una poliedricità di episodi incastonati tra elementi che spaziano dal funky come nel synth-pop della sorprendente “Balu” o nelle derive world music di “Her to earth”, che rappresenta il punto più alto del disco, brano che sembra uscito dalla penna di Peter Gabriel. Tra l’altro la ammaliante voce di Guy Garvey più di una volta ha riportato alla memoria le atmosfere canore del maestro di Chobham.

Gli arrangiamenti si fanno sempre più precisi e la scrittura sempre più curata in “Audio Vertigo”, certamente per la creatività del frontman Garvey e per l’ottima produzione affidata al tastierista del gruppo Craig Potter, coadiuvati per la realizzazione di questo gioiello dai soliti Mark Potter alla chitarra e Pete Turner al basso, ai quali si è aggiunto in pianta stabile il batterista turnista Alex Reeves.

Se con gli archi di “The Picture” il ritmo si riverbera frenetico e giocoso nella successiva “Poker Face” i toni calano ancora regalandoci una disinvolta e quasi ipnotica esperienza fino ad arrivare all’altro singolo dell’album “Good Blood Mexico City”, un vorticoso trionfo di rock di stampo quasi punk nel refrain.

I quasi sei minuti della complessa e intensa closing track “From The River” dimostrano per la decima volta il talento di una band incredibile che disco dopo disco riesce a stupire con straordinarie canzoni che si fondono tra loro in variopinte atmosfere. In casa degli Elbow non si sbaglia un colpo.