In questo inverno che non è inverno, la sera si sta bene, non hai freddo, nemmeno in coda mentre aspetti di entrare all’Alcatraz, ormai una delle venue più storiche di Milano.

Ed essendo il tour della loro prima raccolta, “Black Gold”, lasciatemi essere un po’ nostalgica: ero qui anche nell’ottobre 2013 (la buona abitudine di tenere tutti i biglietti dei concerti, che riempiono oramai 2 scatole), come sono andata a vederli ogni volta che ho potuto quando hanno suonato a Milano.

Sono passati 15 anni e 6 dischi da quel grandioso esordio che fu “The Black Room”: siamo tutti diversi da allora, molti fan della prima ora sono ancora qui, qualcuno si è inevitabilmente perso, molti si sono aggiunti e canzoni come “Munich” e “Bullets” hanno da qualche parte un ritratto che invecchia al posto loro, perchè se solo ci si ferma a pensarci un attimo ““ è assurdo e inconcepibile quanto siano belle e quanto per loro il tempo non passa.

L’Alcatraz è pieno, pienissimo, e considerando che ci sono due date (11 e 12 febbraio) direi che i numeri non sono lontani dal precedente tour, che li aveva visti al Forum di Assago.

Alle 21.10 – dopo gli svedesi Junodef ““ salgono sul palco Tom e soci.

Il palco come al loro solito è essenziale: nessun fronzolo, nessun visual, nessun allestimento. Solo le luci ““ blu ““ su cui entrano e buttano lì, come se niente fosse, una clamorosa tripletta: “An End Has A Start – “Bullets” ““ “Bones”.
Sono tutte e tre eseguite magistralmente, il pubblico risponde con entusiasmo, come del resto comprensibile con un incipit così esplosivo.

Il proseguire del concerto mi conferma la mia personalissima impressione che il greatest hits appena uscito sia stato per lo più l’occasione per organizzare un tour concentrato sul divertimento e senza troppe preoccupazioni di dover testare live delle nuove canzoni, che alle fine saranno solo “Upside Down” e “Frankeinstein”, intervallate da “Violence”, tratta quest’ultima dal loro omonimo sesto album.

Papillon ci riporta a delle sonorità  ben conosciute, con quei synth usati come omaggio a una meravigliosa new wave anni ’80 e la voce di Tom sicura e avvolgente.

La parte intimista è nel cuore del concerto, e deputa a “Ocean Of Night” e alla bellissima “The Weight Of The World”, eseguita da Tom in un a solo che convince parecchio, un momento di stacco prima di una diversa sezione del concerto, sancita da un crescendo costante sia delle esecuzioni che del mood.

E così eccoci alla parte delle mani alzate e delle persone che saltellano, con l’infilata “A Ton Of Love” e “Formaldehyde”, entrambe tratte dal quarto album, “The Weight Of Your Love”.

Le iconiche “Blood” e “Fingers In The Factories” ““ quest’ultimo un brano clamoroso sia su album che soprattutto dal vivo ““ chiudono la performance nel migliore dei modi.

Gli encore sono quelli che tutti si aspettano: il crescendo finale parte dalla pacata “Distance”, per poi esplodere nel trittico the “Racing Rats” ““ “Munich” e la sempre meravigliosa “Smokers Outside The Hospital Doors”, che probabilmente è e sarà  sempre la loro chiusura migliore.

Seppur ogni tanto si sia notata qualche piccola sbavatura, che potrebbe essere fisiologica se queste canzoni fossero al battesimo del palco e non brani che sono stati già  suonati live, tanto più che su 24 canzoni quasi due terzi sono dei primi album, è stato comunque un concerto avvincente e potente, del resto gli Editors sanno essere una band solida, matura e ““ quando ci si mettono – dirompente.

(e sì, da qualche parte su quel palco o in mezzo a noi ci sei anche tu, a goderti il concerto, libero da tutto).

Photo Credit: Nadav Kander