Quarto album per Umberto Giardini, in arte Moltheni, che ritorna al centro del mondo musicale grazie a un prodotto eccellente, intimo, ipnotico, concepito in maniera magistrale. Adesso si che posso permettermi di scrivere “un ritorno in grande stile” senza dover sospettare minimamente di eccedere da qualche parte.

Registrato in analogico presso l’Alpha dept. Studio di Bologna, ossia lo studio dei Giardini di Mirò, questo lavoro è licenziato dall’etichetta “La Tempesta”, la label creata dai Tre Allegri Ragazzi Morti che, fiutando da lontano un miglio il talento di questo strano personaggio, che rappresenta oggi uno dei più validi cantautori italiani, hanno pensato bene di metterlo sotto la loro ‘ala protettiva’. L’album vede la partecipazione di altri nomi illustri che impastano ancor meglio l’ottima minestra alchemica contenuta in queste 13 tracce. Tredici canzoni che riprendono il discorso intimista e psichedelico di “Splendore Terrore”, elevandolo a un livello ancora più genuino (Nutriente direbbe qualcuno”…) sia per lo sviluppo dei testi che per l’intreccio magico della musica, sempre in bilico tra canzone d’autore, folk, pop, psichedelia minimalista e musica classica. Franco Battiato (!) nella “stralunata e psicologicamente contorta” “Sta Per Succedermi Qualcosa”, Carmelo Pipitone, chitarrista dei Marta Sui Tubi nella strumentale “Deserto Biondo”, Alberto e Luca Ferrari dei Verdena nell’episodio forse migliore del disco, la conclusiva “Cavalli Sciolti Del Nord”.

Si va dagli ottimi giri pop-acustici di “Minerva”, passando per il malinconico pianoforte di “Nel Futuro Potere Del Legno”, scendendo verso il basso, guidati dalla voglia di un mini progressive che balena qua e là , insieme al retrogusto di Lucio Battisti, sempre presente ma mai ostentato in maniera eccessiva. Anzi, si può dire che di punti di riferimento precisi Moltheni non ne lascia molti: è una sorta di oleosa macchia musicale, che tocca molteplici vertici, fino a perforare nell’intimità  i sentimenti più poetici buttandoli definitivamente nella selva inquieta delle emozioni più selvagge e sudate (ma non pensate a robe tipo chiome che si agitano o sedie sfasciate sugli amplificatori”…qui è tutto “implosivo”), con l’aiuto di due Verdena (che in fatto di verve rock ne hanno sempre da vendere). Stupendi i testi, che come per la musica, sfiorano la poesia, per poi ricordarsi di essere nati nel fango e nella merda della quotidianità  di qualsiasi città  indifferente e allora tornano a parlare delle cose che conoscono meglio. La realtà  di fronte a tutto.

Moltheni è un neorealista. Moltheni non viene ancora capito bene da questa Italia che corre sui giri pop di band sciocche e poco profonde (il peggio a cui un musicista degno di questo termine possa ambire, credo). L’episodio migliore in questo senso è forse l’onirica e notturna “Nella Mia Bocca”: un basso che gira in loop ossessivamente e qualche violino tanto per gradire. Un lamento instancabile. Stupenda. “Toilette Memoria” è il disco migliore di Moltheni, è completo e dinamico dentro a una musica che pare costruita su una snervante staticità  invece gira a mille; al momento rappresenta il suo punto di arrivo e noi che ce lo godiamo speriamo solo che non sia quello definitivo. Continua a muoverti Umberto.
Continua a dimenarti.