La seconda parte della classifica:

50. JOSH T. PEARSON

The Last Of The Counrty Gentlemen
[Mute]

Il disco dell’inverno, della primavera, dell’estate e dell’autunno.

Una malinconia folk che si rende protagonista delle sette (lunghissime) tracce di questo album, suonate da questo nuovo messia dalla voce calda e struggente.
(Anais)

Ascolta Woman When I’ve Raised Hell


49. YOUTH LAGOON

The Year Of Hibernation
[Fat Possum]

Ci sono cose in questo disco che tutti più o meno abbiamo vissuto: i consigli sbagliati dei genitori, la caduta degli idoli di cartoncino alle nostre pareti, gli amori finiti in estate e poi la paura, di venire feriti, di non farcela a corrispondere le aspettative, la paura che non fa dormire ma neppure vivere.

Youth Lagoon ci parla di tutto questo e lo fa creando una propria cifra stilistica che appassiona, con sincerità  ma pure una bella dose di stile, perchè tutti abbiamo una storia da raccontare ma il difficile è saperlo fare.
(Gianluca Ciucci)

Ascolta Bobby


48. CHELSEA WOLFE

Compass
[Warp]

La rivelazione delle rivelazione.

La non riconosciuta principessa del suono oscuro scrive il testamento di una coscienza divisa tra agonia e malcelata speranza. Il disco più intenso dell’anno.
(Luca “Dustman” Morello)

Ascolta Benjamin

47. PLANNINGTOROCK

W
[DFA]

Prendi i Residents di “Duck Stab”, aggiungi il Klaus Nomi più drammatico, il vocoder dei Knife, le atmosfere di Badalamenti, il sax di “Young Americans” di Bowie e gli archi indie-chic di Owen Pallett, frulli tutto non troppo fluidamente e lo regali a una visual artist col naso di cartapesta. Disco dell’anno.
(Marco D’Alessandro )

Ascolta Doorway

46. FLEET FOXES

Helplessness Blues
[Sub Pop]

“Helplessness Blues”, per chi come me ama i 5 di Seattle sin dall’esordio di 3 anni fa, è senza dubbio l’album dell’anno. La formula letale è la solita: melodie ancestrali, suoni medievali e dosi su dosi di vecchio folk. Non ci troverete capolavori o pezzi che rimarranno nella storia a lungo, perchè ognuno dei dodici è nel suo piccolo un capolavoro e ha una storia a se.

Pecknold e le altre volpi dovrebbero entrare di diritto nella classifica delle band folk di sempre. Nella mia, di classifica, già  stanno ai vertici.
(Marco “Fratta” Frattaruolo)

Ascolta Helplessness Blues

45. DESTROYER

Kaputt
[Merge]

La carta vincente di Destroyer sta nel suo viaggiare miracolosamente sospeso tra atmosfere rarefatte, ma, allo stesso tempo incredibilmente materiche, dense, eccitanti, sudate, un misto di malinconia ed energia che mantiene un’alta tensione emotiva per tutta la durata del disco.

Senza spaccare niente e ferire nessuno, Bejar, nel raggiungere l’apice artistico di una lunga carriera, mette in atto la sua rivoluzione silenziosa, fatta di lezioni di songwriting e gran cura nello scegliere gli ornamenti di questo magnifico ed imprescindibile album.
(Giuseppe “Joses” Ferraro)

Ascolta Chinatown

44. GUSGUS

Arabian Horse
[Kompakt]

…quando “Arabian Horse” finisce vorresti subito che ricominciasse da solo senza nemmeno dover fare la fatica di premere il tasto play, perchè un disco come del genere è di una bellezza capace di prosciugarti dentro lasciandoti senza forze ed incapace anche solo di premere un semplice tasto.

Lo ascolti ed intorno a te c’è solo quello e nient’altro, ti senti nudo ed indifeso al suo cospetto, non osi fiatare perchè hai paura di rovinarne la magia, vorresti ballare ma resti fermo perchè è la tua mente che balla e se ne va lontano da qui, lontano dal tempo e da te.
è un disco dance ma è anche tante altre cose.

(Federico “Accento Svedese”)

Ascolta Over


43. DEMDIKE STARE

Tryptich
[Modern Love]

Un lavoro di ingegneria digitale, l’ambient come è stata concepita e come pochi ancora fanno, tra le giuste atmosfere dark e quelle che sono solamente oniriche e che non vi aiuteranno a risvegliarvi, con una dose letale di tensione che in momenti come la seconda tranche di “Eurydice” possono produrre disturbi visivi ed acustici. Ovviamente, per scherzo.

Per pazzi, e per persone soggetti alla (auto)musicoterapia.
(Emanuele “Brizz” Brizzante)

Ascolta Nothing But the Night 2


42. TYLER, THE CREATOR

Goblin
[XL]

Nuova via al futuro dell’hip-hop la metodologia Odd Future è insieme prodotto dei nostri tempi e perfetta narrazione degli stessi: Tyler è volgare (“Bitch Suck Dick” è un titolo piuttosto esplicativo) e spaccone, ma anche furbo, evita il rischio di una produzione invadente e preferisce un minimalismo schizofrenico che permette alle molte perle del disco di svettare potenti (indimenticabile “Golden”, tra lirismo e fantascienza).
(Nicolò “Ghemison” Arpinati)

Ascolta Goblin

41. CRYSTAL STILTS

In Love With Oblivion
[Slumberland]

Bowie, The Jesus and Mary Chain, Joy Division, post-punk, noise, garage e new wave. Per il labelling dei Crystal Stils non ci si è fatti mancare niente, scomodando alcuni tra i nomi più importanti degli ultimi 40 anni di storia musicale.

E’ vero “In Love with Oblivion” è comodamente piazzato su memory lane ma riesce, nonostante tutto, ad essere credibile. Tra il plagio e l’ispirazione la differenza è spesso labile ma la qualità  è anche questione di misura e i Crystal Stilts sembrano esserne consapevoli. La scatola dei ricordi si riempie della vocalità  tetra e sensuale di Brad Hargett e quando si suonano brani come “Through the Floor” è come se Ziggy Stardust facesse il paio con Ian Curtis. Se non pensate sia blasfemo, non potrete che trovarlo interessante.
(Laura Lavorato)

Ascolta Through The Floor

40. ICEAGE

New Brigade
[Escho/Tambourhinoceros]

Il punk è un’ossessione che si smette da giovani. Il dark un po’ meno.
Meno assertivi dei quasi coetanei Wu Lyf, questi ragazzini danesi vogliono dare fastidio e allo stesso tempo far finta che si stiano preoccupando dei tuoi sentimenti.

Puoi andare a un concerto e fracassare le costole del vicino con movimenti convulsi, o tenere le mani in tasca e risultare molto più bello e austero (probabilmente divertendoti di meno).
Tra punk e post-punk, scegliti la parte.
(Claudia Durastanti)

Ascolta 2 tracce da “New Brigade”

39. ANNA CALVI

Anna Calvi
[Domino]

Il più grande pregio della bella Anna è di riuscire a non passare mai inosservata, senza tuttavia essere un personaggio particolarmente appariscente.

Tutto frutto di un magnetismo che si rispecchia in pieno in un debutto dai toni caldi, passionali, rossi come le camicie che è solita indossare. Suo il miglior assolo di chitarra visto dal vivo nel 2011 (“Love Won’t Be Leaving”).
(Marco D’Alessandro)

Ascolta Desire (7″³ single version)

38. TV ON THE RADIO

Nine Types Of Light
[Interscope]

Ennesima botta, certamente meno irruenta, ma destinata a crescere nel tempo, la quarta fatica dei Tv On The Radio conferma il progetto guidato da Dave Sitek come un vero faro del music-biz contemporaneo.

(se poi avete la fortuna di procurarvi la versione deluxe dell’album ci troverete pure il magnifico gospel “All Fals Down”, perla che vale ogni centesimo speso in più)
(Nicolò “Ghemison” Arpinati)

Ascolta Second Song

37. METRONOMY

The English Riviera
[Because]

Joseph Mount indossa completi estivi mentre canta “The Bay” in riva al mare guardandoci col suo occhio ceruleo senza poter vantare l’appeal di un consumato Tellier. Eppure c’è una certa disinvoltura in “The English Riviera”. La disinvoltura di chi ci consegna un prodotto confezionato ad arte per esasperare la nostra voglia di divertimento senza snobismi. Con quel falsetto che ci ricorda un po’ Alexis Taylor un po’ Jeremy Greenspan i Metronomy sguazzano tra i synth restando sempre assolutamente pop.

Se nel 2011 l’electropop non riesce a smarcarsi da una certa dose di “‘costruzione’ dell’imagine e del suono, in questo caso pare ostentata quanto basta perchè non sia fraudolenta. Cuz’ this isn’t Paris, this isn’t London and it’s not Berlin and it’s not Hong Kong, not Tokyo canta Mount. Infatti è il Devon. Perchè sono tanti i momenti in un anno in cui abbiamo bisogno di piaceri effimeri come il giro di basso di Corinne e The Look. Non si
vive di soli crooner.
(Laura Lavorato)

Ascolta The Bay (Romero Remix)

36. DANGERE MOUS & DANIELE LUPPI

Rome
[Universal]

…quegli arrangiamenti di archi sognanti perfettamente curati da Daniele Luppi, quelle atmosfere retrò e vagamente dark, la magia & il sogno dei brani strumentali (che sono il vero punto di forza di questo album), il peculiare lavoro di Danger Mouse alla produzione che riesce a non far sembrare fuori contesto un Jack White che sembra posseduto dal demone di Robert Plant (“Two Against One”) e la popstar Norah Jones (“Problem Queen”).

Un disco davvero affascinante. Sì, devo proprio andare a visitare Roma.
(Fecerico “Accento Svedese”)

Ascolta Alesund

35. EMA

Past Life Martyred Saints
[Souterrain Transmissions]

Non è che se sei una ragazza questo disco lo capisci meglio. Non è che se hai letto La Campana di Vetro, stretto i denti quando Patti Smith urlava Horses, Horses, Horses o conservato vecchie intervista in cui Courtney Love raccontava di essere stata solo una bambola triste in California con un’alta concezione di se e un’altrettante consistente propensione a inciampare, questo disco diventi automaticamente tuo.

Però è un po’ come se accadesse. Un po’ come se il tuo essere ragazza, qui, accadesse. E facesse la differenza.
(Claudia Durastanti)

Ascolta The Grey Ship

34. THE VACCINES

What Did You Expect From The Vaccines?
[Columbia]

Il primo disco dei The Vaccines spacca! Il loro indie-rock è stato travolgente sin dal primo ascolto.

Viene voglia che l’estate ritorni prima possibile e magari trovarsi ad una bella festa in spiaggia, con una birra in mano a ballarli freneticamente. Da festeggiarci.
(Luigi “dj elleffe” Formica)

Ascolta Post Break-Up Sex (XFM Version)

33. THE BLACK KEYS

El Camino
[Nonesuch]

La dinamite che manda in frantumi il 2011. Il duo di Akron spara a raffica i soliti proiettili garage-blues, ma questa volta il tutto suona più catchy.

Senza troppi giri di parole va data ragione a Michael Hann del Gurardian, Auerbach e Carney suonano come una band che pensa di aver fatto il miglior album rock dell’anno, forse perchè è proprio ciò che hanno fatto.
(Marco “Fratta” Frattaruolo)

Ascolta Lonely Boy

32. BEASTIE BOYS

Hot Sauce Committee Part Two
[Mute]

Ebrei newyorkesi provenienti dal punk rock, i primi bianchi rispettati nel rap game dominato da neri, sempre diversi ad ogni nuovo disco.

MCA, AD Rock, Mike D. C’è bisogno d’altro?
(Mirko “Mik” Jacono)

Ascolta Make Some Noise

31. FUCKED UP

David Comes To Life
[Matador]

Un disco che è anche una conferma. La conferma della grandezza di un gruppo che per la sua terza prova in studio si inventa un concept album in cui si
racconta una storia d’amore, dove questo va direttamente a scontrarsi con la morte. Ma dove sarà  l’amore a dare la forza a David, che dovrà  dimostrare di non essere il responsabile della morte dell’amata Veronica.

Una voce sporca, quasi tendente al growl, che soventemente duetta con una controparte femminile, ci racconta la vicenda in diciotto canzoni dove è il punk ““ rock, in ogni sua forma, a far da padrone, giostrando il tutto su un tappeto di tre chitarre incandescenti che fanno un eccelso lavoro. Arduo da
mandar giù tutto d’un fiato, ma ricco di grandi pezzi e grande cuore. Scritto davvero bene e suonato meglio.
(Marco Renzi)

Ascolta David Comes To Life

30. BATTLES

Gloss Drop
[Warp]

Il disco giusto per incasinarsi il cervello senza fare uso di droghe.

Questi qua ci hanno guadagnato parecchio dall’addio di Ty Braxton, e quando sei vicino a capire cosa stanno suonando loro sono già  avanzati di un passo. Geniali.
(Federico “Accento Svedese”)

Ascolta Ice Cream


29. JOAN AS POLICEWOMAN

The Deep Field
[Reveal]

Joan Wasser e il disco della maturità . Non era mai stata così elegante, emozionate e incisiva come in questo “The Deep Field”.

E quando l’esperienza è messa al servizio del talento e dell’ispirazione, non possono che nascere grandi dischi. A distanza di mesi non ha smesso di suonare bene.
(Enrico “Sachiel” Amendola )

Ascolta Chemmie [Clip]


28. PLAID

Scintilli
[Warp]

La Warp si dimostra sempre un’etichetta con la “E” maiuscola, e fa uscire questo capolavoro di minimalismo ed elettronica del duo londinese.

Un mix di musica ambient e techno, con inserti dub qua e là , tracce liquide che scorrono con grande eleganza.
(Anais )

Ascolta Eye Robot


27. LOW

C’Mon
[Sub Pop]

Negli otto frammenti dedicati a Kurt Cobain, Jim Carrol scrisse uno di quei versi destinati a essere riciclati nei momenti più insoliti: Pressure. That’s how diamonds are made. Ci hai ripensato quando hai ascoltato il nuovo disco dei Low, che è soffocante e ti trascina nel cuore lento
delle cose.

Poi si riscatta, poichè sembra che per loro la pressione- a differenza del cantante per cui quel verso è stato scritto- non sia l’unica alternativa ma una libera scelta. Conciliabile con la vita, e con il tuo privato modo di accettarla.
(Claudia Durastanti)

Ascolta Especially Me

26. R.E.M.

Collapse In To Now
[Warner]

I segnali c’erano tutti (mancato rinnovamento del contratto con l’etichetta, niente tour) ma io gli ho ignorati. Pensavo che i Rem volessero semplicemente rifare qualcosa che era riuscito loro benissimo- “Automatic for the people”- piuttosto che convertirsi a cose falsamente nuove come il dubstep (una volta chi era alla frutta si lanciava a capofitto nella world music, i tempi cambiano) o fingere un’aggressività  che il loro status anagrafico avrebbe umiliato. “Collapse into now” era tutto quello che potevo aspettarmi dai Rem a questo punto delle cose: e se “UBerlin” è stata trasmessa da troppe radio e in troppi contesti sbagliati, “Oh my heart” ha dimostrato che in fondo la band era ancora intatta.

Se il cameo di un altro alfiere della stanchezza come Eddie Vedder in “It happened today” ispirava considerazioni da eutanasia (dovremmo finirla, dovremmo finirla sul serio) “Alligator” e “Peaches” dicevano che c’era ancora spazio per un certo divertimento da festa del quattro luglio. Da un paio di giorni ho smesso di chiedermi come i Rem avrebbero occupato gli anni a venire, che tanto lo sappiamo tutti: avrebbero continuato a scrivere canzoni decenti, qualche capolavoro ogni tanto e a compilare centinaia di schede di revisione, molte delle quali appena passabili. So che è molto elegante dire che non ne sarebbe valsa la pena, ma di orazioni funebri eleganti non ne ho mai sentite, se non in qualche pacchiano.

L’unica consolazione è pensare che in qualche modo la band ha chiuso la carriera ritornando al punto in cui tutto era iniziato: a quella Patti Smith, in “Blue”, senza la quale Michael Stipe non avrebbe scritto certe canzoni nel modo in cui ha fatto. Voglio che Whitman sia fiero di me, che Patti Lee sia fiera di me, e che i miei fratelli siano fieri di me. Difficile dire che non ci sia riuscito.
(Claudia Durastanti)

La seconda parte della classifica: