La seconda parte della classifica:

25. CLOUD NOTHINGS

Attack on Memory
[Carpark]

Un mondo in bilico fra infatuazioni post punk, alt-rock, richiami pop-core, carrellate hardcore, ed echi noise-emo core. Generi diversi, nuova linfa. Affinità  stilistiche e temporali, dal grunge agli Strokes.

Nostalgia musicale, oldschool dura e pura. Steve Albini in cabina di regina per un tuffo nel passato che mai annoia. Consacrazione a pieni voti per i Cloud Nothings.
(Matteo Giobbi)

24. BEAK

>>
[Invada]

Geoff Barrow (Portishead), Billy Fuller (Fuzz Against Junk) e Matt Williams (Team Brick) qualche tempo fa diedero vita al progetto Beak. Senza nascondersi diciamo subito: nulla di originale.

Ma per chi è rimasto sotto certe sonorità  kraut questo disco non può essere che una manna dal cielo. Quanto di meglio fatto per quel che riguarda il krautrock più marziale dai tempi…dell’ultimo live degli Hallogallo. Ma un bellissimo sentire.
(Emanuele “kingatnight” Chiti)

23. BOB DYLAN

Tempest
[Sony]

Qui non c’entra il personaggio. Bob Dylan non è in classifica perchè è Bob Dylan, ma perchè semplicemente “Tempest” è un ottimo, ottimerrimo disco di vecchio e sano blues condito da testi che pochi (qui sì) oltre al cantastorie americano sono in grado di snocciolare.

Svetta imperiosa, dall’alto dei suoi quasi 14 minuti, la title-track (saprete già  tutti delle 42 strofe, della rilettura della tragedia del Titanicblablabla): neanche l’ombra di un ritornello e una sequenza di accordi che potrebbe durare per sempre.
(Alessandro “Diciaddùe” Schirano)

22. ROVER

Rover
[Wagram]

La classe densa di un cantautore elegante che non si limita a specchiarsi nella propria arte. Una bella sorpresa, anche se nasce il dubbio che Rover non voglia essere cercato su google, visto l’omaggio nella scelta del nome alla ben più nota casa automobilistica.

Un gran bel sentire, tra Ziggy Stardust e il miglior Neil Hannon che, a questo punto, non sembra più essere il solo vero dandy di questo pianeta.
(Enrico “Sachiel” Amendola)

21. GRIMES

Visions
[4AD]

Questo è il classico disco che io avrei dovuto snobbare: modaiolo e pompato esageratamente, il terzo capitolo discografico della canadese Grimes affonda le mani in un’elettronica piuttosto datata e altrettanto scontata.

Però la varietà  di melodie pop facilmente memorabili, il fascino visionario di una voce unica nelle sue imperfezioni e il predominante gusto sci-fi hanno reso “Visions” uno degli ascolti più frequenti dal suo arrivo in casa mia.
(Nicolò “Ghemison” Arpinati)

Ascolta Oblivion


20. THE XX

Coexist
[Young Turks]

Perdersi e ritrovarsi

Se il debutto dei giovani britannici era la ricerca di un completamento, “Coexist” suona complessivamente come il travaglio dovuto allo sforzo di mantenere una certa condizione della mente/cuore. Ad ogni modo, un altro combo che non si fa trovare impreparato al secondo giro.

Rimane intatta la sensualità  notturna, mentre si alza la temperatura e il ritmo si fa più ficcante.
(Luca “Dustman” Morello)

19. GOAT

World Music
[Rocket]

Esperienza allucinante quella dei Goat, che di svedese hanno solo il passaporto. Perfetta fusione di tradizione psichedelica urticante e ritmi africani, “World Music” è una vera bomba ad orologeria esplosa all’improvviso.

Disco magnifico, calligrafico quanto volete ma a suo modo perfetto. Qualunque sia la stagione che state vivendo, il rischio di ustionarvi tra queste note è fortissimo. Musica (retro)futuristica.
(Enrico “Sachiel” Amendola)

18. DEFTONES

Koi No Yokan
[Reprise]

A furia di sembrare qualcosa, i Deftones hanno finito per non somigliare più a nulla. O meglio: hanno creato un sottogenere che è un elegante ibrido tra pop e altro, lì, a metà  strada, tra rabbia e malinconia, angst giovanile e ansia in dosi per adulti. Cambiano restando identici; evolvono tornando al punto di partenza.

Un nuovo dark americano, radiofonico, di cui “Koi No Yokan” è l’intimo manifesto.
(Alex Franquelli)

Ascolta Tempest


17. HOW TO DRESS WELL

Total Loss
[Acephale]

La storia di questo album è tutta nel titolo, non a caso in “Set it Right” Tom Krell fa un elenco di tutte le persone che gli mancano: suo zio e il migliore amico che sono morti, i suoi genitori, persino sua nonna.

Ora, non ci sono tanti cantanti in circolazione che possono permettersi di cantare Grandma I miss ya senza farsi prendere per i fondelli. Il tutto in una confezione di r’n’b sommesso, a tratti elegante, a tratti persino gioioso. Nel libro più bello letto quest’anno, Canada di Richard Ford, a un certo punto c’è scritto: Quello che so è che in questa vita hai più chance di sopravvivere se sopporti bene le perdite, se riesci a non diventare cinico in mezzo a tutto”…Ci proviamo, diceva sempre mia sorella. Ci proviamo.La bellezza passa anche da qui.
(Claudia Durastanti)

16. CHELSEA WOLFE

Unknown Rooms: A Collection of Acoustic Songs
[Sargent House]

Chelsea Wolfe esce dalle nebbie dei suoi precedenti lavori e ci consegna un raggio di sole attraverso la foschia.

Si alza il sipario e in mezzo al palco c’è la reginetta dei sabba californiani, che ha confezionato un disco praticamente perfetto, che suona come una primavera in ritardo o in netto anticipo.
(Sara Marzullo)

Ascolta Unknown Rooms: A Collection of Acoustic Songs


15. MALA

Mala In Cuba
[Bronsword]

Appena si è vociferato di questo album già  si sapeva quanto sarebbe stato importante, ma non era una scommessa facile: atteso al varco per anni, uno delle menti guida del dubstep esordiva con un disco nato e sviluppato a Cuba, immerso in quella cultura e in quei suoni. Poteva essere una bestemmia ma, se le aspettative erano alte, il risultato non ha deluso nessuno.

I ritmi delle strade di Londra diventano tutt’uno con l’immensa tradizione musicale cubana: gli ingrediente iniziali scompaiono in un cocktail difficilmente ripetibile. Il disco di Mala è l’ennesimo conferma della potenza del ritmo come sentimento universale: non vi sono distanze che il beat non può percorrere, non vi sono barriere che il sound non può abbattere.
(Nicolò “Ghemison” Arpinati)

Ascolta Mala In Cuba [clips]


14. DIIV

Oshin
[Captured Tracks]

Un nuvolone tossico che attraversa velocemente una metropoli e poi l’altra. Tossico come il gioiellino che ci arriva da una costola dei Beach Fossils. Post-punk qualcuno lo definirebbe. Nulla in contrario con il suffisso post, ma questo disco è pre. Pre catastrofe e cataclisma, (pre)annuncia l’arrivo di pioggia e tempesta di chitarre acide.

E il nuvolone lo vedi andarsene in lontananza, sfiorare i grigi grattacieli, con la musica dei DIIV che lo accompagna verso la metropoli successiva.
(Marco “Fratta” Frattaruolo)

13. ALT-J

An Awesome Wave
[Canvasback]

Da album d’esordio a disco dell’anno. Non male come inizio per gli Alt-J, gruppo formatosi nel sottobosco dell’università  di Leeds. Una base ritmica solida e sincopata fa da pattern sul quale si adagiano suoni lisergici e disparati, tra “Kid A” dei Radiohead e le sperimentazioni dei side projects di Damon Albarn quali Rocket Juice And The Moon.

Ne esce un prodotto solido e dalla personalità  spiccata, che fiacca la concorrenza alla distanza, come un ciclista sui passi di montagna.
Con la voce tremula ed acuta il vocalist Joe Newman ti avvolge nelle tue serate di una calda estate o di un gelido inverno.

AVVOLGENTE
(Bruno De Rivo)

Cover Album

12. GRIZZLY BEAR

Shields
[Warp]

Carriera in costante ascesa quella dei Grizzly Bear. Dopo aver regalato alla storia quella meraviglia di “Veckatimest”, si riuniscono un paio di mesi ai primi del 2012 e sfornano su due piedi “Shields”.

Album che conferma nuovamente la bravura della folk band americana, capace di creare intricate texture sonore al servizio del prisma emotivo delineato dalle loro composizioni. Primi della classe.

Best track: Sun In Your Eyes
(Rossella Rollover)

11. MUMFORD & SONS

Babel
[Island]

Per la categoria most selling album salgono sul podio i Mumford and Sons, che aggiungono alla loro discografia “Babel”: il secondo di una carriera che sta prendendo il volo verso confini sconosciuti.

Lungi dal voler essere un elogio del numero dei dischi venduti, il premio celebra un fatto quasi paradossale nel mondo discografico odierno: bellezza musicale e incassi che vanno a braccetto allegramente. Un disco essenziale. Un gruppo che farà  la storia. O la sta già  facendo.
(Tommaso “Pacha” Pavarini)

10. ANDY STOTT

Luxury Problems
[Luxury Problems]

Con “Luxury Problems” il viaggio iniziato con i due precedenti EP dell’anno scorso entra finalmente nel vivo. Dove voleva condurci Andy Stott era la tana di un bianconiglio suburbano, il quale si è licenziato dal regime per arruolarsi tra le file della resistenza civile armata. è difficile divincolarsi dalla ragnatela di suoni che Andy Stott ha usato per farti sua preda.

Come un felino prima di darti la zampata mortale si muove elegantemente attorno a te e ti ipnotizza prima che ti renda conto di essere clinicamente morto. Prescrizione medico-chirurgica.

Best track: Lost And Found
(Rossella Rollover)

Ascolta Numb

9. JACK WHITE

Blunderbuss
[Third Man/Xl]

Una ne pensa e cento ne fa. Il disco solista di Jack White è una concentrazione di tutte le passioni più recondite dell’artista: bluegrass, soul, gospel, garage blues, cabaret…giusto per citarne alcuni.

Da Etta James ai Graveyard, “Blunderbuss” è uno dei must have di questo 2012. Jack White e la sua vena creativa non smettono mai di sorprenderci.
(Fabiana “Electra” Giovanetti)

8. BEACH HOUSE

Bloom
[SubPop]

Solo una volta assorbito completamente “Teen Dream” e aver compreso che certe sonorità  sono ormai indelebilmente dentro di te, quei due furbi dei Beach House tornano e confezionano un disco che affina tecnica e scrittura, arricchisce il campionario di sonorità  proposte e si rifiuta irrimediabilmente di ammorbidire slanci malinconici in onore di solenni cavalcate spaccacuore.

Alla faccia di chi inneggia al cambiamento.
(Marco D’Alessandro).

7. DIRTY PROJECTORS

Swin Lo Magellan
[Domino]

David Longstreth e i suoi producono il loro album apparentemente più accessibile o, se volete, meno ostico.

In realtà , le canzoni dei DP sono essenzialmente canzoni pop, ma vengono scomposte e cesellate di particolari che conferiscono al tutto un aria sghemba e fricchettona, con i cori femminili che hanno un effetto a volte ulteriormente straniante, altre invece rassicurante.
(Alessandro “Diciaddùe” Schirano)

6. LIARS

WIXIW
[Mute]

Mi piacciono sempre di più i Liars meno rock e più all’avanguardia. Mi piacciono i Liars di oggi, quelli di “WIXIW” che è sostanzialmente a metà  del guado tra musica elettronica e psichedelia.

A tratti si muove anche il culo, per il resto è la mente ad intrappolare se stessa in un loop di sensazioni distorte, cupe e sintetiche. Il classico disco che i fan della prima ora non apprezzeranno in toto. Questioni di lana caprina.
(Enrico “Sachiel” Amendola)

Ascolta No.1 Against The Rush


5. SHARON VAN ETTEN

Tramp
[Jagjaguwar]

Quando parte “Warsaw” mi è venuto spontaneo dire “Wow”.

Poi l’entusiasmo si è lievemente abbassato (l’opening track è per me strepitosa), ma la Van Etten è autrice di un indie folk rock a metà  strada tra una PJ Harvey più sguaiata e il soul più “bianco” davvero d’eccezione. Buona la seconda.
(Emanuele “kingatnight” Chiti)

Ascolta In Line


4. FRANK OCEAN

channel ORANGE
[Def Jam]

Puoi essere l’artista più chiacchierato dell’anno, puoi aver sfruttato dichiarazioni inedite sul tuo orientamento sessuale, ma se il tuo disco è debole nulla può salvarti da un veloce oblio. Ecco, prendete quanto detto e lasciatelo perdere: anche se la strategia mediatica per lanciare “channell ORANGE” è stata furba e massiccia, il risultato supera ampiamente ogni più rosea previsione.

Frank Ocean esordisce con un classico istantaneo e la sua figura appare quasi messianica, un’ombra su cui poggiare le fondamenta per il soul dell’avvenire.
(Nicolò “Ghemison” Arpinati)

3. PERFUME GENIUS

Put Your Back N 2 It
[Matador]

Quando la fragilità  diventa dirompente trasforma ogni residuo di timidezza con un travestimento elegante, sontuoso e dimesso allo stesso tempo.
(Enrico “Sachiel” Amendola)

Il 2012 è stato l’anno della sincerità  senza imbarazzo, della fine del regime della vergogna. E quindi anche l’anno di un disco come “Put your back in 2 it”.
Secondo posto per Mike Hadreas, il Billy Eliott destinato al riscatto sicuro.
(Sara Marzullo)

Non sono una persona particolarmente religiosa ma ci sono due figure, negli ultimi dieci anni, che mi hanno fatto spinta a interrogarmi sulle possibilità  di redenzione a partire da una lacerazione profondissima. La prima è Antony Hegarty e la seconda e Mike Hadreas. Odio l’enfasi sul martirio cristologico, e lo statuto classicheggiante di “My Own Private Idaho” a volte mi offende, perchè quando il dolore viene trasfigurato del sangue non resta niente. Ma chi sono io per dire a Mike Hadreas quel che deve fare delle sue esperienze? Un disco senza morale nè vergogna, che non teme il ridicolo e che frugando nel basso ci fa sentire tutti più decenti.
(Claudia Durastanti)

Le fragili confessioni/preghiere/rivelazioni di Mike Hadreas accarezzano dolcemente lividi interiori e irrisolte vulnerabilità  con una calma potenza che pochi artisti riescono a dosare in siffatta maniera. Un piano ectoplasmico, una stanza che risuona di echi polverosi, un uomo-fanciullo che mette il dito nelle proprie piaghe offrendosi senza pudore ma con stupefacente candore al mondo, o a chi saprà  fermarsi ad ascoltare. Per chi alla musica, più che il gesto musicale in sè, chiede grandi emozioni.
(Luca “Dustman” Morello)

Ascolta Dark Parts

2. TAME IMPALA

Lonerism
[Modular]

Il ragazzo non è per niente fuffa. Le canzoni le sa scrivere e far suonare bene. Si merita tutto, pure i passaggi su Radio Deejay. Diventerà  ancora più grande.
(Emanuele “kingatnight” Chiti)

E’ un pò come peregrinare in un flea market, dove ci stupiamo a vedere i vinili vicino alle memorabilia dell’e Unione Sovietica.
(Bruno De Rivo)

Il loro ultimo album è un tripudio di suoni psichedelici e sintetici che allo stesso tempo trasudano spirito rock’n’roll vecchia maniera.
(Marco “Fratta” Frattaruolo)

“Lonerism” è psichedelico e sognante, pazzo e vulnerabile, un piccolo bignami per animi sensibili e cuori solitari che restano invariabilmente col due di picche alla fine di un party allucinato e luciferino e tornano a casa sconsolati domandandosi dove hanno sbagliato.
(Valentina Natale)

“Lonerism” è la quintessenza della psichedelia”… riadattata e resa vivida nei giorni nostri, utilizzando qualsiasi trucco compositivo ed in fase di mixaggio per far viaggiare l’ascoltatore.
(Matteo Giobbi)

Ascolta Elephant

1. BAT FOR LASHES

The Haunted Man
[Parlophone]

Piccole donne crescono. Seguo Natasha Kahn dagli esordi, e a dispetto dell’immaginario glitterato e hyper-decadente ho sempre pensato che in lei ci fosse più una Virginia Woolf che non una Desdemona. Non a caso Natasha Kahn certe cose le scrive non di sè ma degli altri; “Laura” cos’è se non una Mrs.Dalloway aggiornata al canone contemporaneo? La stessa tendenza a barcollare, la stessa fraintesa autorevolezza. Un disco che puzza di Inghilterra, con ritmi che percorrono distanze.
(Claudia Durastanti)

Le devo la grazia di alcune canzoni (“Laura” e “Marilyn” su tutte) che mi accompagnano alla soglia di alcune notti meno facili di altre. E le devo la voglia di voler bene a qualcuno anche quando l’aria sembra troppo densa per muoversi. Un pezzo di me qui dentro.
(Enrico “Sachiel” Amendola)

“The Haunted Man” riesce dove i precedenti album avevano fallito, compatto senza momenti di stanca, si mantiene teso fino alla fine, proprio come i muscoli della Khan in copertina. Uno stato di grazia esemplare, risultato di un atto di forza che ha del coraggioso. Amatela.
(Rossella Rollover)

Laura ha il nome scritto sulla pelle di ogni ragazzo, noi abbiamo “The haunted man” in testa, sulle braccia, sulla schiena, fino all’ultima vertebra.
(Luca “Dustman” Morello)

“The Haunted Man”: dalle ballate solistiche al pianoforte ai crescendo elettronici (e una voce stupenda) questa è una bellissima conferma di un grande talento.
(Sara Marzullo)

La seconda parte della classifica: