La seconda parte della classifica:

25. ANDY STOTT

We Stay Together
[Modern Love]

“We Stay Together” è un lavoro ostico per i più ma terribilmente affascinante per tutti gli altri. è il respiro dell’artista (e un pò ne riprende il ritmo) quando questi è perso tra la sua ispirazione e le macchine.

Nel preciso istante in cui un pensiero eccelso, elegante, primitivo, prende una propria forma elettronica.
(Alex Franquelli)

Ascolta Submission

24. GAZEBO PENGUINS

Legna
[To Lose La Track]

Un disco puramente Emo, il secondo dei Gazebo Penguins, dove la lingua italiana gioca un ruolo fondamentale, vista l’elevata qualità  dei testi qui presenti: non solo ben scritti, ma anche di rara intensità .

Amore, rabbia, e soprattutto tante piccole cose, minuzie che vengono narrate attraverso una musica urlata e da urlare, che suscita un istantaneo pogo gioioso e selvaggio in chi la ascolta. La sua breve durata non è che uno dei mille pretesti per spararselo almeno un paio di volte al giorno, incasa propria, in cuffia, in macchina. E poi d’improvviso ci si ritrova a cantare della perdita del tram delle sei, o di quella di un amore. Insieme ad un po’ d’ilarità .
(Marco Renzi)

Ascolta Il Tram Delle 6

23. MILES KANE

Colour Of The Trap
[Fargo/Naive]

Un disco che correva il rischio di portarsi appresso quell’odorino poco gradevole di muffa, visti i continui ammiccamenti di Kane al britpop sixties.

E invece Miles Kane è riuscito a dare una rinfrescata a quei coretti lalala e effetti vintage dando nuova linfa al poprock made UK.
(Marco “Fratta” Frattaruolo)

Ascolta Inhaler

22. THE DECEMBERISTS

The King Is Dead
[Rough Trade]

Ci voleva un disco che somigliasse poco ai Decemberists, per permettere alla band di Colin Meloy di finire in una mia classifica. Questione di gusti personali, ma trovo che “The King Is Dead” sia un disco magnifico nella sua semplicità  folk – pop.

Scevri da digressioni barocche, puntano dritto al cuore delle canzoni e mettono in fila una fenomenale scaletta irresistibile dal primo all’ultimo accordo. Per il sottoscritto, in assoluto il loro miglior disco.
(Enrico “Sachiel” Amendola)

Ascolta Down By The Water

21. THE HORRORS

Skying
[XL]

I pregiudizi sono sacrosanti. Sono un filtro. Ma qualora aveste bisogno di un esempio, uno di quelli eclatanti, in cui i pregiudizi non si rivelino cosa buona e giusta, ecco, guardatevi gli Horrors.

I loro atteggiamenti, le loro acconciature. E poi ascoltate questo “Skying”. Qualcosa non quadra?
(Angelo Murtas)

Ascolta Still Life (live at Glastonbury 2011)

20. TORO Y MOI

Underneath The Pine
[Carpark]

Avanguardia, contaminazione, elettronica, funk, atmosfera anni ’80.In una parola stile-stile-stile a profusione.

La conferma di quanto di buono il 24enne californiano aveva prodotto in passato. Aspettiamo con ansia il terzo disco.
(Mirko “Mik” Jacono’)

Ascolta Still Sound (Xinobi Remix)

19. RADIOHEAD

The King Of Limbs
[autoprodotto]

Sono stufa delle incessanti polemiche sulla sua qualità  del disco e forse anche un po’ stufa dei Radiohead.
Una loro nuova fatica avrebbe dovuto svettare in cima alla classifica eppure non posso concedere tale lusso a “TKOL”. La qualità  intrinseca delle sonorità  della band merita un posto in classifica ma è un sorriso a mezza bocca quello che mi strappa l’ultimo parto del gruppo di Oxford.

“TKOL” non è straordinario eppure dopo la metabolizzazione riconfermo: è coerentemente un buon disco. Polemica o meno, la catarsi ipnotica lascia il tempo che trova ed in caso di nuove uscite a Thom Yorke non basterà  più dimenarsi al suono della prossima “Lotus Flower”.
(Laura Lavorato)

Ascolta Lotus Flower (SBTRKT RMX)

18. JAMES BLAKE

James Blake
[Atlas]

Un album denso e calibrato, tra algidità  postmoderna e pathos classico. Forse un po’ incompiuto e solipsistico, il falsetto pitchato fino alla dissolvenza e
la sottrazione di nebulose sonore non dischiudono orizzonti felici.

Resta comunque un frutto del nostro tempo, volatile profondo e a tratti commovente
(Simona Vallorani)

Ascolta Limit To Your Love (Beat Culture Remix)

17. BILL CALLAHAN

Apocalypse
[Drag City]

Quando è diventato un uomo Bill Callahan si è sentito dire da sua madre che con quella voce poteva fare quello che voleva. Deve essere andata così: che prima sua madre, e poi le sue donne, e poi i suoi produttori, e poi gli sfigati a cui ha dato un alibi per sentirsi meno tali, gli hanno detto a
cuore aperto: con quella voce, Bill, puoi fare quello che vuoi. E lui lo ha fatto. Di nuovo.
(Claudia Durastanti)

Ascolta Drover


16. ADELE

21
[XL]

Un disco completo e brillante dalla nostra cara Adele Adkins, che nonostante i ventitre anni di età  mostra una grande maturazione artistica, percepibile già  dai tempi del precedente lavoro,”19″, ma qui arricchita da una buona dose di malinconia da giovane donna che per renderlo meno vulnerabile ha impastato il suo cuore con le pietre.
(Maria “berenix” Bonì )

Ascolta Someone Like You (Obscura Remix)


15. RYAN ADAMS

Ashes & Fires
[Pax Am]

Capolavoro, probabilmente all’altezza delle cose migliori della lunghissima, fin troppo, produzione del Nostro. Molti forse non ci troveranno niente di così particolare in un disco di ballate follk. Per tutti gli amanti di certe soluzioni invece c’è solo un sentimento di pura gioia nell’affondare le proprie sensazioni in “Ashes &Fire”.

Il Ryan Adams che cercavamo da tempo. L’abbiamo ritrovato, speriamo possa durare.
(Enrico “Sachiel” Amendola )

Ascolta Ashes & Fire


14. TIMBER TIMBRE

Good Things
[Stones Throw]

Visioni di paludi (“Swamp Magic”) di acque cupe (“Black Water”) e cacciatori solitari (“Lonesome Hunter”) in questo ultimo lavoro dei canadesi Timber Timbre. Un’immaginario quasi orrorifico tradotto in arrangiamenti rarefatti con accenti blues. Adatto a ripopolare di nuove visioni i nostri ascolti notturni “Creep on Creepin’ on” ci sembrerà  forse un’illusione al sole di un nuovo giorno.

Ma le sue ramificazioni oscure avranno ormai scavato una traccia dentro di noi. Quella che suona nella nostra testa con la malinconica
grazia di un ritornello: “All I need is some sunshine”. Imperdibile.
(Laura Lavorato)

Ascolta Woman

13. THE TWILIGHT SINGERS

Dynamite Steps
[Sub Pop]

Visto che il vero rock boccheggia stanco, ci pensa Greg Dulli e mettere le cose a posto col nuovo disco dei Twilight Singers. Soluzioni pop suonate e interpretate col piglio del rock, capace di rendere il disco appagante sia per chi ama le soluzioni più spigolose, sia per chi è più avvezzo ad un approccio melodico.

“Waves” vince a mani basse il titolo di canzone rock dell’anno.
(Enrico “Sachiel” Amendola)

Ascolta On The Corner


12. BJà–RK

Biophilia
[One Little Indian]

Reinventarsi sapientemente ad ogni uscita non è cosa da tutti.

Gli stessi cedimenti del precedente “Volta” avevano fatto un po’ temere, ma mai ci si sarebbe aspettati un recupero così singolare, che va oltre la solita confezione altisonante per dare atto a una prova musicale apparentemente scarna e un po’ arrangiata, ma che si rivela dopo qualche ascolto come una delle migliori esperienze dell’artista islandese.
(Marco D’Alessandro)

Ascolta Crystalline (edit;erase Remix)


11. ST VINCENT

Strange Mercy
[4AD]

Annie Clark ragiona sulle forme del pop con personalità  e coraggio.

“Strange Mercy” è pieno di soluzioni ambiziose, ricerca e sperimentazione sono affidate ad una chitarra sublime. Non solo virtuosismo e appeal orchestrale ma una vera e prorpia fascinazione intellettuale.
(Simona Vallorani)

Ascolta Cruel

10. VERDENA

WOW
[Universal]

Il ritorno dell’anno. Ho voluto da subito sospendere il giudizio sulla qualità  dell’album del trio bergamasco, ascoltandolo e riascoltandolo con solo piacere, perchè ritenevo che giudicarlo fosse una faccenda secondaria rispetto alle attese che si erano create, rispetto al successo continuo del Wow Tour, rispetto alla nostalgia che avevano nel cuore coloro che li avevano amati e rispetto all’entusiasmo con cui ne parlavano i giovani che dieci anni fa guardavano ancora “L’Albero Azzurro”.

Penso sempre lo stesso, mi affogherei.
(Marco Guerne)

Ascolta Razzi Arpia Inferno e Fiamme


9. FOO FIGHTERS

Wasting Lights
[RCA]

Il classico gruppo di cui ho sempre e solo conosciuto i singoli e mai gli album interi. Quest’anno si cambia: complici anche tre live in tre mesi, i Foo Fighters sono stati parte fondamentale dell’anno.

Ascolto “Wasting Light” immaginando il sorriso di chi, questo disco, lo avrebbe amato molto.
One of these days the clocks will stop and time won’t mean a thing.
(Cristina Bernasconi)

Ascolta Rope


8. TOM WAITS

Bad As Me
[Anti]

Tom è come il buon vino: non invecchia, decanta. Canta e le canta un po’ a chiunque, prendendosi tutto il tempo necessario per trovare l’ispirazione e diluirla sapientemente nelle canzoni. Sembra non sbagliare mai un colpo, e “Bad As Me”, ritorno da leone, è una dichiarazione d’intenti che più chiara non si può.

Gli anni passano, e il rocker di Pomona è sveglio e arzillo come non mai, pronto a fare le scarpe a tanti ben più giovani colleghi. Non è veramente cattivo, lo disegnano così. O forse no ? Scherzi a parte, vince la palma di miglior album per una spanna abbondante.
(Valentina Natale)

Ascolta Bad As Me

7. WILCO

The Whole Love
[dBpm]

Ok, non siamo all’altezza dei loro capolavori, è un dato di fatto. Ma il solo riuscire a mettere due meraviglie in apertura e in chiusura di disco, gli vale un posto di diritto nella personale classifica di fine anno.

Jeff Tweedy non è più vittima delle proprie angosce e la band vira di poco le proprie coordinate. Una malinconica serenità  che si affaccia splendidamente alla vita.
(Enrico “Sachiel” Amendola)

Ascolta I Might

6. GIRLS

Father, Son, Holy Ghost
[True Panther]

Ho amato Christopher Owens sin dal debutto di “Album”. Con questo disco i Girls confezionano un lavoro più maturo, dal suono retrò estremamente sofisticato come se Elvis Costello avesse cantato nei Beach Boys.

Credo sia un album non solo da avere, ma letteralmente da consumare come si consumano solo i grandi album. C’è del gospel, del surf rock, del folk e del country qua e là , ma soprattutto c’è tutto il talento del duo di San Francisco.
(Marco Guerne)

Ascolta 4 tracce da “Father, Son, Holy Ghost”


5. ELBOW

Build A Rocket Boys!
[Fiction]

Nessun dubbio sul mio disco dell’anno. Vincono a mani basse gli Elbow con un album straordinario. Epica pop ed intimismo si incontrano in una lenta epifania di belle sensazioni. E’ un lavoro poco immediato, che necessita di ripetuti ascolti per capirne la completa bellezza. La band di Guy Garvey, fin troppo sottovalutata almeno dalle nostre parti, si dimostra ancora una volta capace di rompere gli argini dei propri limiti ed andare oltre.
Difficile aspettarsi di meglio in futuro, ma non impossibile, conoscendoli.
(Enrico “Sachiel” Amendola)

Gli Elbow in Italia hanno suonato davanti a pochi passanti all’Heineken Jammin Festival. Gli Elbow hanno scritto un album a dir poco da pelle d’oca: basta “Lippy Kids” a demolire con due accordi decine di dischi che abbiamo acquistato.
(Emanuele “kingatnight” Chiti)

Ascolta The Birds


4. NOEL GALLAGHER

Noel Gallagher’s High Flying Birds
[Sour Mash]

Nessuna delle classifiche di fino anno riporta questo album, mi prendo la briga di farlo io allora (oasisiano doc). Un disco alla Noel Gallagher. Non più il solito rock’n’roll che ruotava attorno alla corde vocali del fratellaccio Liam, ma un disco da cantautore maturo.
Noel riparte dai suoni kinksiani e vi aggiunge un tono epico (degno del grande Ennio Morricone l’intro di “Everybody on the run”). Un bel disco che conferma l’ottima vena compositiva della ex mente del gruppo di fratelli ‘burrascosi’ più noti al mondo!
(Marco “Fratta” Frattaruolo)

Quello studio secondo il quale i fratelli maggiori sono più intelligenti rispetto ai minori sembra essere ulteriormente confermato da
questo album. Quell’altra ricerca secondo cui le persone mancine mostrano grande sensibilità  e spiccato senso artistico pure. Curiosi riscontri scientifici in ambito musicale”…
(Maria “berenix” Bonì )

Ascolta If I Had A Gun


3. FEIST

Metals [Cherrytree/Interscope]

Il capolavoro di Leslie Feist, senza alcun dubbio. Anche qui si toccano altissime vette di maturità  e ispirazione. Sperando che questa magnifica raccolta di canzoni possa essere solo il primo apice di una carriera ancora ricca di sorprese.
Impeccabile nella scrittura, si lascia andare ad emozioni a fior di pelle e calore folk. Un piccolo grande classico del genere.
(Enrico “Sachiel” Amendola)

Sofferenza e calore. Una voce blues per un album folk che puzza di rock. Serve aggiungere altro?
(Jacopo Ravagnan)

Feist ha trovato la sua giusta dimensione con quest’ultimo lavoro. C’è qualcosa che va oltre la musica, con rapida frequenza si susseguono fotogrammi: “Metals” è sentire ed immaginare.
(Antonella Iacobellis)

Canzoni dall’altra parte del vetro, con cinque dita tese contro la finestra e un sorriso ambiguo che può essere un addio, un arrivederci o un bentornato a casa. Tra certe atmosfere da Laurel Canyon tanto tempo fa e gli accenti soul-elettronici di una qualsiasi città  occidentale oggi, Feist scrive un disco sul modo contorto che hanno le persone di girarsi intorno prima di piombare l’una sull’altra. Dimostrando che si può parlare di felicità  e rassicurare l’ascoltare facendo a meno di prevedibili ritornelli.
(Claudia Durastanti)

T.S. Eliot dedicò “The Waste Land” a Ezra Pound prendendo in prestito da Dante la frase “Il miglior fabbro”. Io non sarò Eliot, ma Feist è sicuramente “il miglior fabbro” di questo 2011. Un album di dodici pezzi di metalli rari lavorati con fermezza, esperienza e una gestione dei propri sentimenti tale da riuscire a portarli a fusione per poi rimodellarli in puro suono.
(Maria “berenix” Bonì )

Ascolta How Come You Never Go There

2. BON IVER

Bon Iver [4AD]

Justin Vernon abbandona le montagne di “For Emma” e s’incammina verso l’America continentale; ogni brano del suo diario di bordo è la fotografia opaca di una diversa tappa del viaggio, a formare un disco dalle atmosfere avvolgenti e rarefatte.
(Marco D’Alessandro)

Prova tu a far fuori il candidato a Gesù Cristo dell’indie folk e a confessare che sei tutt’altro che magnifico, prova tu a convincere il pubblico che anche se smetti di percorrere le strade del dolore hai ancora qualcosa da dire, e che puoi ergerti imperioso sulla tua stessa mitologia. Prova tu a
trascinarci nel soft rock e negli strati dei sintetizzatori e a farci sentire ugualmente consolati. E non sarà  magnifico, Justin Vernon, ma ci ha detto che potevamo averlo, che questo potevamo averlo: una guarnigione accettabile, Phil Collins nel retrobottega, i telefilm melensi con le luci natalizie sugli alberi anche quando è estate. Che potevamo averlo, e lo abbiamo.
(Claudia Durastanti)

Il ricordo di Emma lascia spazio ad un personale mental-road trip in dieci tracce. è dolce viaggiare sulle note di Justin Vernon… (Anche se personalmente continuo a preferire “For Emma, Forever Ago”).
(Maria “berenix” Bonì )

Pare che nel 2011 non si possa prescindere da Bon Iver. Pena l’essere messi alla gogna per poi essere calpestati con zeppe affilatissime. La verità  è che non posso prescindere da Bon Iver perchè questo, come già  For Emma, è un ottimo disco. Album denso (non melenso), ispirato ed evocativo di un musicista che ha ancora molto da dire. Inversione di rotta per chi attendeva il secondo volume de “la maledizione del cantautore intimista”, suona troppo bene perchè lo si possa ignorare. E’ l’album che teniamo sotto il cuscino,per non separarcene mai, anche quando sembriamo dimenticarcene. BUon Iver.
(Laura Lavorato)

La luce dopo la nevicata.
Prosegue la fantastica avventura musicale di Justin Vernon. Dopo la dolce austerità  di For Emma, ecco la primavera del nuovo album, che rivela inaspettati intrecci policromatici e nuovi delicati sussulti.
(Luca “Dustman” Morello)

Ascolta Holocene & Calgary

1. PJ HARVEY

Let England Shake [Island]

Non è la PJ rock che ci si aspettava, ma è sempre più chiaro e palese, anche dopo quest’album, che la vera regina d’Inghilterra viene dal Somerset e non si chiama Elisabetta.
(Marco Guerne)

PJ Harvey è forse l’ultima icona rock al femminile a non aver ancora sbagliato un colpo, e “Let England Shake” ne è la tangibile prova. Un concept sulla guerra e sulla Gran Bretagna d’oggi, cantautorato rock à  la Nick Cave e testi d’impatto … ritmi ansiogeni e trascinanti che accompagnano l’ascoltatore nell’inquietante visione bellica di Polly Jean.
(Marco D’Alessandro)

Sapevo tutto di PJ Harvey. Quello che mi mancava è che avesse potuto sorprendermi ancora, nel 2011, con un disco pazzesco.
(Angelo Murtas)

Dimenticatevi la Polly Jean dei primi album, che oggi predilige sonorità  più introspettive ed eleganti.
(Anais)

Dio uccida la regina.
Polly Jean seppellisce la scabrosa ribelle dei tempi che furono per rinascere però in una veste non meno interessante, quella di indagatrice più che dei propri demoni, dei fantasmi della guerra che tormentano la nostra civiltà .
(Luca “Dustman” Morello)

Non potrà  mai deludere (oddio forse, “Uh Oh Her…”). Un disco semplicemente senza tempo, la più grande donna del rock (in senso lato) anni ’90.
(Emanuele “kingatnight” Chiti)

Ascolta The Words That Maketh Murder

La seconda parte della classifica: