Sono molti anni che Martin Scorsese voleva fare un film sul romanzo storico “Silenzio” dello scrittore giapponese ShÅ«saku Endō. Un film che, per il regista newyorkese, era diventato quasi un’ossessione. E quando si mette tanta passione in un progetto spesso si rischia che possa diventare poco commerciale e molto personale. In quasi tutti i film di Martin Scorsese l’elemento religioso è presente. Da “Toro Scatenato”, “Quei Bravi ragazzi”, persino “Gangs of New York”, e “Mean Streets” in cui veniva detto che i peccati si scontano per le strade, si scontano a casa, passando per, “Il colore dei soldi”, “Casinò”, “The Wolf of Wall Street” dove il dio denaro domina la mente dei protagonisti, finendo per Al di là  dei sogni, “L’ultima tentazione di Cristo”, “Kundur” e, appunto, “Silence”. Nell’ ultimo film di Martin Scorsese il dubbio sulla fede diventa diventa lo snodo cruciale della narrazione. La trama è semplice, si può riassumere in poche righe: Due giovani padri gesuiti di origine portoghese, interpretati da gli attori Andrew Garfield, Adam Driver, viaggiano verso il Giappone con l’intento di ritrovare il loro mentore, padre Ferreira (Liam Neeson), e cercare di professare nell’isola nipponica la fede cristiana. Vivranno sulla loro pelle e guarderanno con i propri occhi la persecuzione tremenda che lo shogunato applicava ai danni dei convertiti al cristianesimo che si radunano segretamente come i primi fedeli ai tempi dell’antica Roma. Siamo nel 1640.

Negli ultimi tempi il valore della fede ha subito un profondo cambiamento. Molti lo hanno perso passando da essere semplici fedeli non praticanti a diventare atei o, persino, blasfemi. Questa cosa ha creato un contro bilanciamento interessante. Sono cresciuti gli estremisti. Quelli legati alla fede, pronti a tutti pur di difenderla. E il discorso potrebbe essere ampliato ad altre religioni, ma non è questo l’ambito corretto per farlo. In fondo stiamo parlando “solo” di un film che mette in scena crocifissione in mare e un’altra serie di fantasiose torture che infastidiscono e, a volte, sono esagerate. Forse l’intenzione del regista era quella di farci sentire visivamente il dolore. A volte ci riesce, altre volte meno. Anche perchè in alcuni horror abbiamo visto ben di peggio.

Il film non è un capolavoro. Non è neanche il migliore di Martin Scorsese. C’è troppa introspezione e, in alcune parti, è troppo lento e teologico. Non che la lentezza e la teologia siano una cattiva cosa, anzi. Ma non sono dosati al meglio. Il più grande valore di Silence è che: se si guarda con attenzione non si può, una volta finita la visione, non farsi delle domande.
Fa riflettere. Fa pensare.

Morire per propria la fede è da sempre uno dei valori massimi espressi dal cristianesimo. I martiri divenuti santi ad esempio. Ma non è, in modalità  differenti, la stessa cosa che fanno i terroristi?
Non rispondente. Ragionateci in silenzio.