Non sono un grande fan dei Queen, men che meno sono un grande fan dei fan dei Queen, una delle razze di fan più terribili al mondo – secondi probabilmente solo a quelli di Bruce Springsteen e Radiohead. E quindi aspettavo questo prodotto, fortemente orientato ai fan della band, diviso tra curiosità  e diffidenza.

Inizio subito col dire che, accuratezza cronologica o meno – una delle più grandi critiche che leggo in giro riguarda la troppa libertà  che gli sceneggiatori si sono concessi nel mischiare temporalmente gli accadimenti -, la scrittura funziona molto bene e il film fila via che è un piacere, fino agli ultimi venti minuti – ma di questi parlerò dopo. Pur concentrandosi quasi esclusivamente sulle vicende di Freddie Mercury – ah, inutile anche dirlo: Malek ha fatto un lavoro che spacca, anche nei momenti più melensi e drammatici, che per antonomasia sono i più tosti, quelli in cui è più facile incappare in overacting e affini -, il plot riesce a dare spessore anche agli altri membri della band, che con il minutaggio ad essi dedicato era un risultato tutt’altro che scontato.

Mi sono piaciuti molto i momenti dedicati alla genesi dei brani, talvolta anche piuttosto tecnici, e alla forza con cui Mercury e soci imponevano le proprie scelte ai produttori. Un grande rammarico è che la colonna sonora avrebbe potuto privilegiare qualche perla meno nota della band di Londra, invece che ridursi al solito Greatest Hits.

Il concerto a Wembley per il Live Aid è l’evento cruciale della storia, più che della carriera, della band cui il film gira intorno per tutta la sua durata, ma è proprio nel risolverlo che il film annoia per la prima volta – i venti minuti di cui anticipavo all’inizio. Onestamente: a cosa servono venti minuti in cui Malek replica, cantando in playback, ogni singolo gesto e posa della celebre performance nella sua interezza? Okay, di nuovo, bravissimo, ma a cosa serve? Onanismo per fan?