Si respira aria familiare al Mikasa, qui a Bologna. Non solo perchè la serata presenta un sound a me molto vicino e molto gradito, ma proprio perchè quel senso di amicizia e di “fratellanza” tra gruppi e partecipanti stessi (quelli sotto il palco, diciamo) è davvero forte e tangibile. La scena italiana shoegaze si mette in vetrina, con alcuni dei suoi gioielli migliori, ma non lo fa in modo altezzoso o sgarbato, tutt’altro, lo fa con umiltà , rispetto, il sorriso sulle labbra e una manifestazione genuina e spontanea di bravura artista che ormai è impossibile non notare: un livello musicale altissimo che spinge, realmente, tutte queste band fuori dai confini nazionali, perchè se lo meritano e perchè dimostrano di avere tutte le carte in regola per giocarsela con i big del genere di caratura internazionale.

4 band, 4 modi diversi d’intendere l’approccio al genere. Il tetto comune è il perfetto contenitore di “In A State Of Flux Festival” che stavolta fa tappa a Bologna, al Mikasa, locale che non conoscevo (se non di nome) e che mi ha pienamete soddisfatto, in particolare sull’acustica, che in una serata del genere doveva essere ottimale e così è stato. Il buon Depo è “padrino” della manifestazione e i gruppi non dimenticano mai di citarlo e ringraziarlo, fanno bene: DJ dalle sapienti mani e dal delizioso gusto musicale Davide de Polo ha avuto questa bella intuizione di cogliere lo spirito nascente dell’ “italogaze” e ha voluto fortemente trovare un contenitore che potesse creare interconnessioni virtuose tra le band, certo, ma anche tra i fruitori della musica. Missione compiuta amico mio.

I Backlash mettono in campo tutta la loro passione per gli anni ’90, partendo da una base che potrebbe essere quella “britpop”, i fratelli Gallagher in primis, ma il suono è sporcato a dovere (mentre nel britpop classico si tendeva a rendere brillanti e solari le canzoni), con quella punta di “acido” che permea piacevolmente tutto il sound. Ottima l’idea di lasciar spazio spesso alla parte strumentale. Il loro set è melodico e grintoso. Positivi.

I Rev Rev Rev dimostrano anche live, se ce ne fosse stato bisogno, di essere brillanti costruttori di muri sonori devastanti. Sembrano essere quelli più monolitici e rumorosi, figli più che legittimi di Kevin Shields, ma questo non pone limiti alla loro ispirazione, non rinchiusa fra le mura dello shoegaze più sonico, ma anzi, pronta a librarsi in territori più avvolgenti e psichedelici. C’è pure una cover dei Ride nella loro setlist. Da notare che la band confessa di non essere in ottime condizioni fisiche, ma risultano devastanti comunque!

Dicono bene i milanesi In Her Eye: non ce ne frega nulla delle etichette, andiamo avanti per la nostra strada. Ecco che dal vivo il loro suono è carico come una molla e potente come un pugno in faccia. A tratti ci sentiamo trasportati in territori noise americani, qui, più che il Kevin Shields dei Rev Rev Rev, a indicare la via maestra pare esserci Steve Albini. E allora giù a testa bassa con ottimi incroci basso e batteria (davvero uno dei punti di forza dei ragazzi), mentre le chitarre lasciano segni rabbiosi che trasportano solidi dettami indie-rock in pulsioni fisiche che non danno scampo. Sempre più bravi.

La chiusura spetta ai napoletani Stella Diana (nella foto che trovate sopra) che, lasciatemelo dire, lasciano tutti i presenti a bocca aperta. Definirli eleganti e ipnotici è quasi riduttivo. Dario Torre (persona, tra l’altro, ricca di cultura e vera fucina di spunti in ambito musicale, cinematografico e calcistico) sul palco è magnetico, cattura gli sguardi (pur riuscendo comunque a stemperare il tutto con ironia e sarcasmo), ma è la musica degli Stella Diana che inebria subito la nostra mente. La scuola new wave, le magie di Echo and the Bunnymen e Chameleons ma anche la sensibilità  shoegaze degli anni ’90: sono questi i riferimenti che spesso vengono accostati alla band e tutto è vero e condivisibile, ma l’atmosfera che permea la loro musica live è qualcosa che da la pelle d’oca ed è una sensazione che ogni recensione dell’album in studio non potrà  mai dirvi. A questo punto l’epiteto di maestri è doveroso.

Applausi meritati per tutti. Non possiamo dire altro.