Feelingenuo è giovane, è bravo e ha gusto. Basta questo per convincervi a leggere le sue risposte in merito ai tre singoli fin qui usciti per Revubs Dischi? Spero di sì. L’alternativa (e il consiglio) è ripassarvi e scoprire la sua – per ora – breve discografia sui digital stores: vi basteranno pochi secondi per interessarvi al punto da tornare su Indie For Bunnies e divorarvi questa intervista. Tutta la sensibilità  di uno dei più interessanti profili del nuovo cantautorato qui, nelle righe che seguono.

Feelingenuo, un nome che cela – e in piena vista – mondi. Ma quanto ti senti “ingenuo”, tu?

Ciao! Mi sento ingenuo il giusto, nè troppo nè troppo poco. L’ingenuità  per me non ha necessariamente un’accezione negativa, la vedo molto più simile ad una costante voglia di meravigliarsi, di non perdere entusiasmo. Gli ingenui sono persone sensibili. La sensibilità  può essere al contempo benedizione e maledizione, e io mi rivolgo prevalentemente a tutti coloro che portano questa croce. La sensibilità  è un dono, ma un dono crudele, per sopportarla c’è bisogno di un po’ di ingenuità , così da non sentirne eccessivamente il peso.

Oramai sei al terzo singolo per Revubs Dischi: “Che strano” vede la luce dopo le uscite di “Colpa del Sudamerica” e “Stringertings”. Il tempo passa, ma le ferite sembrano non volersi rimarginare: quanto è terapeutica per te la musica? Ma sopratutto: a qualcosa è servito, scrivere?

Le ferite si rimarginano, ma come ogni buon cantautore che si rispetti, l’ispirazione va cercata laddove le piastrine non hanno ancora terminato il loro lavoro. Idealmente questi tre brani, a livello di contenuti, sono un percorso: l’innamoramento, l’elaborazione del lutto dopo la rottura e la presa di coscienza riguardo “quel che resta quel che manca” (il mio narcisismo mi impone l’autocitazione, perdonatemi). La musica, e soprattutto scrivere canzoni, per me, sono sempre state una valvola di sfogo, ma anche una dipendenza, nel senso che quando capitano periodi dove non riesco a scrivere, soffro terribilmente. Credo che scrivere serva sempre, non c’è un metro per stabilire se serva di più o di meno, certo è che, arrivare ad un terzo singolo, mi fa pensare che questa mia cocciutaggine riguardo la musica, abbia valore.

“Che strano” è un brano pop, che parla d’amore ma senza cadere nella retorica. Come si fa, secondo te, a non cadere nella trappola del ricordo?

Questa è una domanda molto difficile, i ricordi sono quello che noi costruiamo, sono la nostra storia come individui, la traccia che lasciamo. Vivere di ricordi è sicuramente sbagliato, ma aver paura di ricordare lo è ancora di più. Non necessariamente i ricordi sono una trappola, ma possono essere, e spesso sono, un monito per il futuro, sia per quanto riguarda errori da non ripetere, sia per quanto riguarda invece ciò che di bello potrà  essere ancora. Viviamo in un paese che tende ad avere la memoria corta, in tutti i campi, io credo che la memoria abbia un valore, che la nostra generazione debba custodirla e tenerla stretta, non per intrappolarsi, ma, al contrario, per avere le fondamenta su cui erigere la propria libertà .

Se in “Colpa del Sudamerica” ammiccavi a sonorità  folk e in “Stringertings” viravi dritto sugli anni ’80, in “Che strano” torni a piedi uniti sul pop, senza però perdere lo smalto cantautorale. Ma pop e cantautorato possono davvero andare d’accordo?

Io spero di sì, è la mia personale sfida. Il cantautorato dei grandi che tutti conosciamo e che fa parte del background culturale di tutti noi addetti ai lavori è una pietra miliare della musica italiana, ma per certi versi farlo adesso è impensabile. L’artificio che abbiamo per non soffrire un paragone che sarebbe deleterio per noi tutti, è cercare di fare qualcosa di nuovo, di unire la matrice cantautorale da cui proveniamo ad una ricerca sonora più attuale, nella speranza che il risultato sia soddisfacente poi per chi ascolta, unico vero giudice del nostro lavoro.

Qual’è la cosa più strana che hai fatto nell’ultima settimana?

La cosa più strana che ho fatto nell’ultima settimana è stata, purtroppo, sperimentare la paralisi del sonno, non mi era mai capitato e spero non capiti mai più, è una sensazione orribile, strana, certo, ma orribile.

Dalle tue pagine social, si evince che stai ricominciando a suonare in giro. Che aria si respira, e sopratutto come vedi il pubblico? Questa lontananza forzata ha fatto riscattare quella scintilla necessaria a riavvicinare la gente alla musica dal vivo?

Tornare a suonare è stato molto bello, anche tanto emozionante. Erano diversi mesi che non salivo sul palco e temevo di non avere più i novanta minuti nelle dita, fortunatamente mi sono rimasti. La rinnovata gioia del pubblico nel partecipare ai concerti è un carburante inesauribile per chi, come me, vive per la musica dal vivo. Non più tardi di domenica ho fatto un concerto in acustico e risentire la gente cantare con me le mie canzoni mi ha veramente stretto il cuore. Spero che piano piano si possa ripartire con un’attività  live sempre più intensa, anche perchè mi mancano i miei musicisti e compagni di viaggio, non vedo l’ora di poter tornare a fare concerti con tutta la band, è la cosa che aspetto di più.

Consigliaci tre libri, tre serie tv, tre canzoni che non possiamo perderci.

Cercherò di essere telegrafico.
Libri: “Il coraggio del pettirosso” di Maurizio Maggiani, “Il caso Harry Quebert” di Joà«l Dicker e “Itaca” di Eva Cantarella.
Serie: “Stranger Things” (per ovvie ragioni affettive), “Dark” e “Bojack Horseman”.
Canzoni: “Amori con le Ali” di Niccolò Fabi, “Is it true” dei Tame Impala e “Lucky Now” di Ryan Adams.

Salutaci a modo tuo, ma non prima di averci fatto una promessa che potremmo, un domani, rinfacciarti di non aver mantenuto!

Cari amici di Indie For Bunnies è stato un piacere rispondere alle vostre domande e proprio per questo, se volete essere sicuri di potermi rinfacciare qualcosa, vi prometto che da domani smetto di fumare.

 

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