Siediti. Spegni il telefonino. Sfilati l’orologio dal polso. Allenta la cravatta e se non la porti tanto meglio. Arrotolati le maniche della camicia. Stenditi per terra con le sole cuffie in testa e chiudi gli occhi. Ed ora compi il gesto più eversivo che un uomo occidentale del 21 ° secolo possa fare: dimentica il tempo. Ecco ci sei, fai andare a tutto volume l’ultimo disco dei canadesi ‘The Besnard Lakes‘. Musica epica, ancestrale, dilatata, rumorosa e melodica. Musica che richiede attenzione e pazienza, che non può essere liquidata in tre minuti, rifugge l’attimo di gloria, abbraccia il tempo disteso nella sua eternità .

Si sprecano i riferimenti che fanno eco nelle otto canzoni del loro ultimo disco; ci sono gli ‘…And you will know us by the trail of dead’ per l’attitudine di trarre miracolose melodie da un muro stratificato di chitarre gocciolanti, i ‘Sigur ros‘ nelle parti vocali androgine di alcuni pezzi e per la capacità  di proiettare altrove i nostri io distesi, i ‘Pink Floyd‘ perchè pare brutto dimenticarsi di loro, i ‘Beach Boys‘ per la voglia non tanto nascosta di fare una sorta di pop psichedelico soprattutto quando iniziano ad intrecciarsi voci maschili e cristallini ululati femminili. Certo verrà  il dubbio più che legittimo di una scarsa originalità , ma in un mondo dove tutto è interpretazione George Donoso e soci si fanno portatori di un’esplicazione ad alto livello di passaggi chitarristici e folgorazioni assorbiti nel corso degli anni. ‘For the agent 13’ sembra l’esplosione musicale di un quadro di Kandinskij, potente, colorato fino all’eccesso, apparentemente senza forma, un guazzabuglio che inonda lo spazio. Eppure lo si guarda affascinati, colpiti da una geometria di fondo che restituisce logica nella pazzia fino a immedesimarsi in quello schizzo blu ed a fluttuare in nuovi territori.

Un canto sciamanico, l’antico richiamo da una montagna trasfuso nelle vibrazioni ultraelettriche delle chitarre di Cummins riverberano nell’aria stantia di un giorno qualunque e gli danno profondità  e spessore. Per fare tutto ciò si sono dati appuntamenti sotto al monte alcuni tra i migliori artisti canadesi come appunto George Donoso dei Dears, Chris Seligman degli Stars, Sophieu Trudeau dei Siler Mt. Zion e Jonathan Cummins dei Bionic. Nel crepuscolo, mentre il sole orla con le sue ultime carezze le cime frastagliate e nerastre delle montagne intorno, schizzano visioni e ricordi anni Settanta, come in ‘And you lied to me’, dove tutto sembra essersi arrestato nello spazio psichedilico di quel decennio irripetibile. Devastante il lungo assolo finale di chitarre, una meraviglia sorprendente, un luccichio di space-rock stordente, un baccanale cui si associano tutti gli altri strumenti infuocando una canzone straripante.

Tornare indietro nel tempo: ‘Ride the rails’ e Brian Wilson sarebbe contento. Arrangiamenti d’archi alla Arcade Fire e il dado è tratto. Delizie pop-caramellate in chiusura, perchè marcette e zucchero filato sono sempre i benvenuti se irrobustiti da quel sapore corposo che gli danno i Besnard Lakes. Il tempo passa, ormai ti sei addormenteto sognando campi verdi e primavere, il disco terminato attende muto nello stereo, non è un capolavoro ma ti ha fatto stare bene. Cosa vuoi di più dalla vita? Un lucano? Ma fammi il piacere…

Photo: Brendan George Ko