Automobili come insetti svogliati scivolano nel pomeriggio scuro. Lucciole supersoniche su strade periferiche sciamano zigzagando ubriache. Un cielo nero chinotto elettrifica pensieri assonnati. Fasci di luce intermittenti mostrano la spina dorsale del cielo: in lontananza lampi come gigantesche radiografie scolpiscono l’arco celeste. Scoppiano bombe tutt’attorno alle mie fantasie, rimango impassibile come marmo millenario, bianco sporco, venato di striature grigiastre. Fermo, un totem nel deserto fiammeggiante della nostra rassegnazione.

C’è da tenere su questa notte livida e rancorosa. Lasciamo una scia della nostra gioventù imberbe, filiamo nel buio come schegge di luce perse nel nulla. Abbiamo bisogno di benzina per correre e colate di miele per ammorbidire le nostre orecchie martoriate. Ruvidezza e dolcezza per un nuovo inizio. Allora non devo essere stato solo in quel giorno tremendo di fracassi e perdizioni, se ritrovo quegli stessi pensieri declinati sul pentagramma di quest’album: da qualche parte sul ciglio della strada i Besnard Lakes prendevano appunti. Il tutto ““ dovevo intuirlo – sarebbe confluito in questo terzo disco della band di Montreal, una poltiglia fiammeggiante di chitarre deragliate ed altisonanti, impastate con lo zucchero filato di trame vocali in totale assetto con gli Dei della melodia.

Alzare gli amplificatori al massimo paga ancora, così come disegnare ampie aperture sonore distese su oceani caramellati alla ricerca di un’armonia fragile da agguantare, ma potente nel suo rimbombare circolare. I coniugi Lasek ““ Goreas (Lui falsetto e chitarra, Lei voce e basso) ancora una volta chiamano a raccolta membri di Stars e dei Dears, trapuntando il tutto con apparizioni dei Silver Mt. Zion per sparare forte un disco che fa ammenda degli errori commessi in passato e che risulta conciso, sempre a fuoco, sostenuto da una tensione emotiva palpabile.

Qui dentro troviamo un rock potente, striato di effetti e riverberi shoegaze, imbevuto di calde atmosfere anni 70, mai incline a chiudersi in un rumore puro e duro, bensì voglioso di collidere con circolarità  da dream-pop d’alta scuola. Il risultato è un vortice ammaliante vestito delle splendide voci di Jace Lasek e di Olga Goreas, che sembrano danzare sospese e lievi mentre attorno s’alza la marea elettrica che le avvolge.
“Are The Roaring Night” conferma prepotentemente la qualità  del combo canadese, della miscellanea sognante del loro rock, un balsamo rincuorante per rimanere svegli in queste notti da lupi solitari.

Photo: Brendan George Ko