Prima o poi bisogna scendere. Scendere dalla giostra, dal giro giusto, da quello sbagliato, dalle montagne scalate, dalle onde conquistate, dalle vertigini, dalle auto troppo veloci, dagli universi che non ci appartengono, dagli occhi velenosi, dai tremori spaventosi. Scivolare via silenziosi come foglie novembrine. Affidarsi al caso delle correnti che corrono imperterrite e ritrovarsi tra i fatti del mondo.

Fui sulla vetta neanche un anno fa, quando “Rivers Arms” schiudeva il carnato dei fiori al suo passaggio. E’ tempo ora di ritornare a valle tra le cose che contano. Quasi non credo alle mie orecchie quando “All Is Wild, All Is Silent” inizia a sfrecciare tra le molecole intorpidite delle mie ossa: addio alle cristalline architetture dell’esordio, al languore sentimentale che sbriciolò le poche certezze e benvenuta sia la festa giubilante di un nuovo inizio. Rob Lowe e Michael Muller aggiungono quattro posti a tavola, diventano sestetto, mischiano con sopraffino gusto gli spazi fra i vari strumenti ed incantano ancora una volta.

I Balmorhea giungono al dunque sbrigliando la matassa di suggestioni, di primavere sbocciate nelle vene, arrossandoci le guance con hand clapping votati alla gioia e giri di violino disarmanti. Lunga è la strada che conduce verso casa, ma in lontananza scorgo la sua figura aranciata dal crepuscolo. Un tiepido sole soffia il suo calore tra le corde languide di questi romantici texani, indomiti nel tracciare una via non scontata che conduca al cuore della materia. Non c’è segreto che tenga dinanzi alla melodia glorificata in queste composizioni, nè alla radiografia dello spirito che esce fuori dai dialoghi inscenati da pianoforti, violini, violoncelli, chitarre elettro-acustiche, banjo e batteria.

L’entusiasmo iniziale si squaglia attimo dopo attimo, l’euforia di un nuovo abbrivo lascia spazio alla malinconica consapevolezza della propria inadeguatezza, allo stupore della bellezza che ti coglie impreparato. Su tutto regna l’idea di creare pozze d’armonia, delicate nel loro insinuarsi sotto pelle, ma possenti nell’illuminare nere cupole di cielo.

Sono giunto quasi alla fine, la vallata si apre come un oceano di terra, il monte sparisce alle mie spalle inghiottito da nuvole gelose, dinanzi a me si agita la tua illusione, trecce sciolte e smalto scuro, ma tu, sorda, sei già  andata via.

E’ vero: alla fine del viaggio tutto è selvaggio, tutto è silenzioso.

Credit Foto: Claire Cottrell