LINE UP ““ 20/08/2011
RACE STAGE: JACK BEAUREGARD, ANNA CALVI, HADOUKEN, K’S CHOICE, PANIC! AT THE DISCO, JIMMY EAT WORLD, THE TING TINGS, RISE AGAINST, FOO FIGHTERS
GREEN STAGE: SKABUCKS, MIMI, JOCHEN DISTELMEYER, SAMY DELUXE, NNEKA, FRIENDLY FIRES, CARL BARAT, STEREO MC’S, THE CHEMICAL BROTHERS
WEEKENDER & PLINGG STAGE: THE DESERT BOATS, SCARLET PREACH, J.O.E.L., RAMAZURI, ROYAL BANGS, MINI MANSIONS, SOUND OF ARROWS, SMITH WESTERNS
RED BULL CONTAINER BASH: 2HANDSUP, FREESTYLERS, DUMMY JUNGS, POLA RIOT
UAF FLOOR: BEATS4EDUCATION, HEY TODAY, THE BLOODY BEETROOTS, MOONBOOTICA, JOHN DIGWEED
REDBULL BRANDWAGENSTAGE: NEODISCO SET 1, NEODISCO SET 2, DECKCHAIR ORANGE SET 1, DECKCHAIR ORANGE SET 2

Caldo porco e sole che uccide per il terzo giorno di Frequency. L’ultimo giorno, l’unico che si vive esclusivamente in funzione degli headliner (perchè finalmente ci sono degli headliner veri, anche se con un contorno piuttosto scarso). Oggi nessun artista si ricorda improvvisamente di avere impegni più importanti, non ci sono cambi di line up, fila via tutto liscio.

Iniziamo con Anna Calvi sul Race Stage. Ha le dimensioni di un bagaglio a mano Ryanair ed è timidissima: quando parla tra una canzone e l’altra, lo fa emettendo frequenze che non sono udibili dall’orecchio umano, ma quando canta ha una voce così potente che ti stende. Ha a disposizione quaranta minuti in cui suona ogni pezzo in modo così intenso ed emotivo che fa quasi male, mentre davanti a lei, il pubblico si fa trasportare in religioso silenzio. è brava, è brava davvero e il fatto che dopo di lei salgano sul palco gli Hadouken rovina un po’ quel senso di pace interiore che era riuscita a regalare. Gli Hadouken, come descriverli? Avete presente quella puntata di Friends in cui Ross si rimette a suonare come quando andava al college tirando fuori i peggio suoni da una tastiera? Ecco, gli Hadouken sono così. Un’accozzaglia di suoni senza senso, un casino incredibile, i Klaxons strafatti di eroina. Fermateli. Quaranta minuti che sembrano interminabili.

Rapido cambio palco e tocca ai K’s Choice, rock band belga che ci riporta agli amati anni novanta con quell’indimenticabile “Not An Addict”, quanto tempo. Tutto il resto è abbastanza sconosciuto, ma svolgono bene il loro compito, niente da dire. Mentre loro suonano, allo stand della Converse, c’è una coda pazzesca per la signing session di Carl Barat e un uomo della sicurezza tira un pugno violentissimo a un ragazzo che cerca di scavalcare tutto e tutti non riuscendo a farsi una ragione del fatto che la signing session finirà  prima che lui possa avere un autografo. Esagerati. Tutti quanti.

Fuggo dal Race Stage quando i Panic! At The Disco iniziano a urlare troppo per i miei gusti e vado a vedere un po’ di Friendly Fires sul Green Stage: buttano lì una “Jump In The Pool” come seconda canzone e io mi sento già  ampiamente soddisfatta. Il resto della loro esibizione non brilla particolarmente, non è memorabile e nemmeno esaltante. La voglia di muovere il culo si esaurisce alla quinta canzone: quello che viene dopo è una ripetizione di queste cinque canzoni con il cantante che si dimena come un ossesso sul palco. Divertenti, sì certo, ma neanche poi tanto: il classico esempio di il gioco è bello quando dura poco. Dopo di loro arriva un Carl Barat non propriamente sobrio. Con lui c’è una band vera: chitarre, batteria, tastiera, contrabbasso o basso elettrico a seconda dei pezzi. è una band che sa suonare, è una buona band a cui lui fa suonare le sue mediocri e noiose canzoni nuove. Vedo più volte il batterista che rischia di addormentarsi e mi chiedo cosa li abbia spinti a prestarsi a tutto ciò. Sono tanto noiose le canzoni nuove, quanto esaltanti quelle dei Libertines o (un paio) dei Dirty Pretty Things. Lo so benissimo, tutti quelli che sono qui , come me, si sono avvicinati al palco con la vana speranza che gran parte del set attingesse dal passato, ma niente. Ci vuole un’ora, ma quella “Don’t Look Back Into The Sun” finale è assolutamente meravigliosa, sono i cinque minuti che danno un senso a una performance altrimenti inutilissima.

Si ritorna al Race Stage dove si attende agonizzanti che l’ora e un quarto dei Rise Against finisca in fretta. No, non finisce in fretta, ma finisce. Trovare un posto decente per i Foo Fighters e aspettare un’altra mezz’ora. Eccoli, la terza volta in tre mesi e non se ne ha mai abbastanza. Non mi definisco una loro fan, ma quello che fanno i Foo Fighters dal vivo è oltre. Stasera non sarà  come a Milton Keynes, stasera suoneranno “solo” due ore, stasera il pubblico non sarà  così partecipe (uscite a divertirvi, però cari austriaci: non è possibile che stiate così tanto fermi), ma sarà  comunque una figata pazzesca.

I Foo Fighters ti travolgono, ti arrivano addosso con violenza, ti prendono, ti portano sul punto più alto del mondo e ti fanno sentire invincibile. Ti caricano come una molla e non ti danno tregua. E non la danno nemmeno a loro stessi: non stanno fermi un attimo, Dave Grohl corre ovunque e urla come un pazzo ed è incredibile come non ci siano momenti deboli, come niente vada, anche solo per un minuto, fuori posto. Alternano i potentissimi pezzi nuovi ai vecchi singoloni: la tripletta “The Pretender” ““ “My Hero” ““ “Learn To Fly”, la potenza di “White Limo” e “Arlandria” e tutto il resto, basterebbe un elenco dei pezzi per rendere l’idea. Il delirio, il delirio di una band che suona per davvero e non c’è niente di finto, non ci sono computer giganti ad aiutarli, come dice Dave (suonerebbe come un riferimento per niente casuale e farebbe ridere il fatto che sull’altro palco in contemporanea stanno suonando i Chemical Brothers, se non si sapesse che Dave dice questa frase a ogni concerto). C’è solo tanto rock’n’roll, tanto sudore, tanta energia, tanta adrenalina e c’è la bellezza di perdere la voce su “Best Of You”, “Wheels”, “Times Like These”, “All My Life” ed “Everlong”. I Foo Fighters sono dei fighi pazzeschi, Dave Grohl è un figo da stare male, andare a vederli è una delle cose più belle che possano capitare a chi, come noi, senza concerti non può vivere. I Foo Fighters chiudono il Frequency maestosamente e dopo averci portati sul punto più alto del mondo, ci riaccompagnano giù, lasciandoci felici e beati. Ci rivediamo presto spero. Frequency Festival è stato un piacere, ma sto parlando con i Foo Fighters.

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