Farsi un giro in un disco dei Tame Impala è come entrar dentro una lava lamp. O partire a bordo di un’astronave alimentata a base di psichedelia ben raffinata, progettata da qualche fashion designer di grido. Destinazione finale: Marte o giù di lì, con numerose e impreviste fermate intermedie. Un viaggio all inclusive nello spazio insomma, non quello profondo e inquietante di Kubrik ma la sua versione più colorata e vivida, tipo telefilm degli anni settanta mischiato alle mirabolanti imprese dei fratelli Wachowski.

“Lonerism” è uno di quegli album che crescono col tempo e conquistano ascolto dopo ascolto. Ha un titolo da trattato filosofico di quelli seri e difficili, che richiedono massima applicazione, ma è solo apparenza: il sound resta quello fluorescente e molto cool con cui questa chiacchieratissima band australiana si è imposta all’attenzione del mondo. Atmosfere sospese e sognanti, come se stessero suonando mentre camminano in assenza di gravità  su qualche pianeta alieno ma tutto sommato amichevole (“Mind Mischief”, “Apocalypse Dreams”, “Nothing That Has Happened So Far Has Been Anything We Could Control”) si alternano a esplosioni strumentali, improvvisi attacchi di maestosità  musicale e emotiva che li fanno sembrare quasi un gruppo psych prog (“Endors Toi”). Ci sono sempre, e come potrebbero mancare, pezzi come “Be Above It” e il singolo “Elephant”: diversi ma entrambi contagiosi e dritti al punto, figli del glam più glam, cugini dello Studio 54 e degli anni ottanta più giocosi, sembrano fatti apposta per martellarti implacabilmente il cervello e essere suonati alle feste (con tanto di remix a opera di Todd Rundgren). Ma “Lonerism” non si chiama così per caso. E allora, minuto dopo minuto, l’attenzione si sposta impercettibilmente verso canzoni come “Keep On Lying”, “Why Won’t They Talk To Me?”, “Feels Like We Only Go Backwards” e “Music To Walk Home By”: un piccolo bignami per cuori sensibili e lupi solitari, quelli che ballano con le lacrime agli occhi, che restano invariabilmente col due di picche alla fine di un party allucinato e luciferino e tornano sconsolati a casa domandandosi dove hanno sbagliato.

Tirano fuori il loro lato più vulnerabile e tutta la loro abilità  di songwriters, i Tame Impala. Come se avessero scoperto di poter lasciare da parte, almeno ogni tanto, quell’invincibilità , quel velato distacco che pareva accompagnarli lungo tutto il pur ottimo “Innerspeaker” per diventare più umani. Tecnicamente sempre impeccabili, praticamente degli extraterrestri, ma anche esseri fatti di carne e sangue che sorprendono con un pianoforte all’inizio di “Sun’s Coming Up”. Ancora una volta capaci di avvolgere e coinvolgere con una musica mutante, un caleidoscopio di colori che assume sfumature e forme sempre nuove.

Credit Foto: Abby Gillardi / CC BY