Bruce Springsteen esce da Asbury Park, al bivio invece di girare verso le conosciute e strabattute strade del folk-rock diverge verso la strada ferrata della trascinante Gibson di Tom Morello. Dopo “Wrecking ball”, The Boss trova come compagno di merende l’ex Rage Against The Machine e Audioslave, che con il suo set di chitarre e gli effetti e wah-wah di cui ha fatto sempre abbondante uso, incendia di rock le covers e rivisitazioni scelte da Bruce per confezionare questo “High Hopes”.

Non solo abbiamo la sempiterna E-Street Band a suonare nell’album, ma essendoci pezzi riesumati dal cassetto del passato, troviamo anche i compianti Danny Federici e Clarence Clemons con tutta la loro sapienza musicale.
“High Hopes” degli Havalinas, già  proposta negli anni ’90, è la hit che sta spopolando in radio come anteprima dell’album. La mano di Tom Morello è evidente e caratterizza in maniera eccellente la rielaborazione del pezzo, la pressante presenza dei fiati aggiunge un sound caldo e colorato ad un brano trascinante ed imperdibile. L’ossessiva “Harry’s Place” ci regala un duello all’ultima nota tra il sax di Clarence Clemons ed il manico di Tom Morello.

Toni cupi e scuri, un losco spacciatore che si aggira per le strade, un’atmosfera polverosa e drammatica cantata alla grande da Bruce. “American Skin (41 Shots)” è una reprise del 2001, triste storia di razzismo terminata con la morte di un ragazzo di colore freddato, per l’appunto, da 41 colpi sparati da agenti del NYPD. La sensibilità  del Boss si esprime con tutta la malinconia che trasuda dalla track, la chitarra di Morello dipinge pennate d’autore senza stravolgerne il pathos.

“Just like fire would” dei The Saints ci riporta al “vecchio” Springsteen, toni folk per questa cover, con la chitarra ed i fiati ad aprire e chiudere questa splendida riedizione. “Down in the hole” è una meraviglia fino ad oggi sconosciuta, uno dei più bei brani dell’album. Toni mistici e sognanti, la voce di Patti Scialfa dolce e triste allo stesso momento, il violino ad intrecciarsi con l’organo del compianto Danny Federici, una vera chicca per intenditori.

Il coro gospel “Raise your hand, raise your hand!” apre Heaven’s Wall, una track che corre via filata, la chitarra dell’ex RATM entra con decisione, straripante, in maniera anche eccessiva e poco consona al sound del brano. Scienza e teatro si fondono in “Frankie fell in love”, parole d’amore cantate in coppia con Steve Van Zandt, seduti a tavola con “Einstein and Shakespeare Sitting having a beer”, una canzone semplice in tonalità  country. Suoni di cornamuse fanno da ouverture a “This is your sword”, una canzone che prosegue il momento folk che è l’essenza della parte centrale di questo album. L’ultimo dei quattro inediti proposti è “Hunter of invisible game”, una lenta ballata acustica dove l’incendiaria mano di Tom Morello riesce a non premere il piede sul gas ed a limitarsi a regalare suoni perfettamente adatti al sound.

“The Ghost of Tom Joad” non ha più niente della versione semplice ed acustica originaria, la E-Street Band è perfetta, Tom Morello non solo fende l’aria con riff sontuosi, ma ci mette anche la voce. Una versione rockeggiante e metallica che dona nuova vita ad un pezzo senza tempo. “The Wall” è una dolorosa cavalcata di dolore in memoria di un amico, Walter Cichon, mai ritornato dall’inferno del Vietnam. Fiati, tastiere e chitarra acustica si intrecciano in un pianto malinconico. “Dream baby dream” cover dei Suicide, viene qui riproposta con l’editing di Ron Aniello e, ancora, il legno accarezzato dall’ex- Audioslave. Una versione che abbandona la cupezza originaria per tramutarsi in un sogno ad occhi aperti, un magico volo notturno fra le stelle.

“High Hopes” è tutto fuorchè un concept album, non ha un filo conduttore nè una trama, ma in questo caso la mancanza di compattezza non va a demerito della qualità . E’ un caleidoscopio di variabili impazzite, si passa da pezzi in puro stile Boss folk-rock, alle contaminazioni metal-guitar di Tom Morello. Proprio quest’ultimo ha dato nuova vita ad un, forse, annoiato Springsteen, che dopo “Wrecking ball” ha innescato nuove vie sonore con questo album. Ovviamente, come in tutti questi casi, ci saranno le due solite fazioni, quelli che non vorrebbero mai nessun cambiamento, gli intransigenti che grideranno allo scandalo andando a riesumare la svolta elettrica di Bob Dylan con “Highway 61 Revisited”, in opposizione a chi invece vede nel battere nuove proficue strade, un modo per rinnovare sè stessi. Sicuramente a noi questo album piace molto, soprattutto proprio per la parte innovativa, l’influenza della chitarra infuocata di Morello, quando non eccede in insistiti personalismi e licks poco addentro il colore del brano, è determinante. E’ proprio lui a dichiarare quanto trovasse “sfiancante” suonare nei Rage Against The Machine dal punto di vista psicologico, e quanto lo sia invece sul versante fisico stare a fianco di Bruce. E proprio Tom ha voluto coverizzare la titletrack, e con che risultati dobbiamo dire. Fra i quattro inediti, le cover altrui e le rivisitazioni è difficile annoiarsi ascoltando quello che può, legittimamente, candidarsi ad essere uno dei migliori prodotti del 2014.

Photo by Rob DeMartin