John, you have an uncompromising way of making everything I say sound sexual. Non è un post su Facebook o un messaggio lasciato in segreteria da una girlfriend innamorata, ma il momento clou di “Jane Describes John” dei Braid che nel 1995, quando è uscita questa canzone insieme alle altre di “Frankie Welfare Boy Age Five”, erano una giovane band tra il ruvido e il melodico fatta salire in fretta e furia sul carrozzone emo e cercavano disperatamente di farsi sentire dalla sonnolenta cintura di Champaign-Urbana (Illinois) ancora non glorificata da un certo signor David Foster Wallace (cosa che non ha impedito ai Braid di scriverci sopra un pezzo a loro volta, quell’ “Urbana Is Too Dark” che faceva bella mostra di sè in “Frame And Canvas”, album classico da riscoprire).
I ninenties però sono passati da tempo e sembravano essersi portati dietro i Braid, sciolti con una stretta di mano e senza rimpianti dopo diversi cambi di formazione. E invece “… nel 2014 questi quattro ex ragazzi dotati di gran senso dell’umorismo tornano a far danni con un disco nuovo nuovo: “No Coast”. Formazione ormai consolidata grazie ai sopravvissuti Chris Broach, Bob Nanna, Damon Atkinson e Todd Bell. Grinta intatta, come dimostra “Many Enemies”. Dinamici come ai bei tempi, non sono più così arrabbiati (le urla lasciamole ai giovani come i compagni di etichetta My Fiction) ma si dedicano d’impegno a demolire progressivamente le certezze su cosa sono e che musica fanno i Braid oggi, mischiando emotività col post punk stile Pere Ubu, l’ironia dei Guided By Voices e l’indie rock già sperimentato in “The Age Of Octeen” con in più un pizzico di power pop (“Damages!” e “Lux”, che belle).
“No Coast” è fatto di emozioni violente vissute con la consapevolezza di chi non è più un ragazzino (Another Drink / Another Lifetime Of Regrets cantano i Braid nell’accattivante “East End Hollows”) ma il cuore ce l’ha ancora e batte forte. Un disco gioioso, orecchiabile e maturo, nel senso migliore del termine, che arriva giusto in tempo per l’estate appena iniziata. Sono onesti, i Braid e lo dicono chiaro e tondo: “This Is Not A Revolution”. E l’emo? Quello lo lasciamo ai revivalisti che le corde vocali non durano in eterno e i magici twenties ormai sono passati. E poi c’è già il daddy’s rock, mica vogliamo pure il daddy’s emo!
Credit Foto: Mitchell Wojcik