#10) YELLOW OSTRICH
Cosmos
[Barsuk]

Ennesimo (e ultimo visto che si scioglieranno) album intrigante degli Yellow Ostrich, campioncini dell’indie rock made in Brooklyn che dopo la svolta pop di “Ghost” tornano all’antico e si avventurano in territori meticci tra Radiohead, chitarre in lontananza che sembrano venire da Plutone e qualche tocco ambient.

Canzoni che sono come la scatola di cioccolatini di Forrest Gump, non sai mai cosa aspettarti.

#9) NUDE BEACH
77

[Don Giovanni]

Ci vuole coraggio oggi a fare un doppio album, specialmente se sei una power pop band di (oh no not again) Brooklyn. I Nude Beach questo coraggio l’hanno avuto e meno male perchè “77” è un piccolo capolavoro indie.

Hanno studiato alla perfezione la lezione dei The Replacements e degli Hà¼sker D༠e hanno imparato proprio bene. Diciotto canzoni che filano via di gran carriera senza fastidiosi riempitivi.

#8) WHIRR
Sway

[Graveface]

Tornano i Whirr e ancora una volta non deludono. “Sway” è un piccolo alfabeto delle emozioni più nascoste, deliziosamente dark e potente come un buco nero denso di ricordi che ti trascina con sè nota dopo nota, con qualche improvviso bagliore di luce che si fa strada nell’oscurità .

E’ un mondo affascinante quello evocato dai Whirr col loro shoegaze teso, oscuro, intenso e un po’ cinematografico. Un mondo incredibilmente alieno e stranamente familiare allo stesso tempo.

#7) FIELD MOUSE
Hold Still Life

[Topshelf]
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Alcuni dischi sono delle belle sorprese. “Hold Still Life” dei Field Mouse è appunto uno di quei dischi. Indie rock, shoegaze a profusione, un pizzico di noise: le provano tutte questi quattro ragazzi newyorkesi e il risultato è di gran qualità . Rumore cristallino tra feedback e riverberi, a volte dolce a volte arrabbiato, romantico e grintoso, aggraziato quanto basta ma mai lezioso.

Se li sentisse Zach Braff, un posticino nella soundtrack del suo prossimo film glielo troverebbe.

#6) THE PINEAPPLE THIEF
Magnolia

[Kscope]

Alcune band le riconosci appena le ascolti. I Pineapple Thief sono tra queste. Difficile che facciano un brutto disco, un disco sbagliato, un disco anonimo. “Magnolia” è l’ennesimo gran album in una serie di grandi album che per fortuna sembra non finire mai. Commovente, suonato (come sempre) con tecnica sopraffina.

Dodici piccoli viaggi in forma canzone che lasciano stanchi ma soddisfatti e con la voglia di premere play ancora una volta.

#5) MIREL WAGNER
When The Cellar Children See The Light Of Day

[Sub Pop]
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Mirel Wagner è dolce e inquietante. Una donna che va in giro tenendo in mano e per mano il manico della sua fida chitarra acustica, cantando alla luna minimali ballads folk e blues che sembrano uscite da un racconto di Edgar Allan Poe o dalla penna del Nick Cave migliore.

“When The Cellar Children See The Light Of Day” è un piccolo rito voodoo in musica. Doloroso come tanti piccoli aghi che penetrano la pelle. Spettrale. Se lo ascolti, ti resta addosso.

#4) ELBOW
The Take Off And Landing Of Everything

[Fiction]
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E’ ufficiale: pochi gruppi scrivono break up records con la qualità  e la grazia di Guy Garvey e dei suoi Elbow.

“The Takeoff And Landing Of Everything” trasporta brano dopo brano in un viaggio appassionante tra gli abissi e i delicati alti e bassi del cuore e della vita, cercando disperatamente di capire come fare a sopravvivere quando la tua “lei” ti ha lasciato alla soglia dei quaranta, con tanti rimpianti e pochi sogni in tasca.

#3) MOGWAI
Rave Taps

[Sub Pop]
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I Mogwai in campo post rock sono ormai un’istituzione. Intensi, brillanti, dark e malinconici confezionano un altro bell’album. “Rave Tapes” è un’emozione continua che trasporta lontano, un esercizio di stile che preferisce la penombra della sera alla luce accecante del mezzogiorno.

Curato fin nei minimi dettagli con la solita, incredibile meticolosità  a cui il quintetto scozzese ha abituato, cresce ascolto dopo ascolto.

#2) ROME
A Passage To Rhodesia

[Trisol]

La creatura di Jèrà´me Reuter torna in vita e non sbaglia un colpo. Reuter ormai da anni attraversa il mondo musicale con rara forza. Facendo un po’ quello che vuole, infischiandosene altamente di etichette e definizioni (e fa bene).

Nel commovente “A Passage To Rhodesia” racconta la storia sanguinosa della Rhodesia durante la guerra civile durata dal 1964 al 1979. Un secondo posto che potrebbe tranquillamente essere primo pari merito.

#1) AFGHAN WHIGS
Do To The Beast

[Sub Pop]
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Ovvero IL RITORNO. Quello che si aspetta con ansia e non delude. Sono dieci piccoli film d’autore di grande poesia e intensità  quelli che i redivivi Afghan Whigs hanno regalato dopo anni di silenzio discografico. Dimostrano di non aver perso un grammo della loro mostruosa energia sexy, autodistruttiva.

Capaci di mettere insieme come se nulla fosse staffilate hard rock e musicalità  soul. Emozionanti, cupi, dolorosi. Veri.