#10) THEE SILVER MT. ZION MEMORIAL ORCHESTRA
Fuck Off Get Free We Pour Light On Everything

[Constellation]

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La prima folgorazione dell’anno, un misto di blues, folk, rock, accenni post rock in un turbinio cacofonico ed assordante. Oggettivamente un lavoro magnifico e strapieno di riferimenti, più concretamente per il sottoscritto un ascolto non sempre facile o di immediata collocazione.

Ci ritorno sempre molto volentieri quando me la sento. Sarebbe stato un delitto tenerlo fuori dalla mia top 10.

#9) BEN HOWARD
I Forgot Where We Were
[Island ““ 2014]

Ben Howard ha avuto il pregio di ricongiungermi con un genere di songwriting che mi mancava da tanto tempo. Un genere di emozione che mi riporta ai primi ascolti di Damien Rice di tanti anni fa, cose che difficilmente hanno scalfito il mio cuore nell’ultimo lustro e forse di più.

Una ricetta intima ed emozionante per poco meno di un’ora di musica malinconica e una scrittura matura e mai troppo melensa. Visto che Damien Rice musicalmente è morto sotto una patina luccicante ma priva di contenuti, Ben Howard mi regala un nuovo ed inaspettato viaggio.

#8) FUNCTION & VATICAN SHADOW
Games Have Rules

[Hospital]

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Un buon, anzi ottimo surrogato del mio disco dell’anno 2013. Function & Vatican Shadow riescono nell’intento di soddisfare la mia voglia di ambient notturna e metropolitana, arricchendo di suggestioni fredde la stagione più scura dell’anno.

Un po’ di Boards Of Canada, con le dovute distinzioni, anche nel mio 2014 musicale.

#7) J MASCIS
Tied To A STar

[Sub Pop]

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Nonostante molti pezzi solisti di J Mascis mi sembrino strutturalmente poco più di demo acustiche dei Dinosaur Jr., i suoi dischi in qualche modo restano aggrappati ai miei ascolti molto a lungo.

La verità  è che l’anima della band madre e questo approccio acustico sono semplicemente le due bellissime facce della stessa medaglia. E poi lui è uno di quelli per cui vale la regola del potrebbe cantare anche la lista della spesa al Carrefour, io sarei contento lo stesso.

#6) SHARON VAN ETTEN
Are We There

[Jagjaguwar]

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La presenza di Sharon Van Etten è il riscatto anche delle voci femminili che in questi ultimi dodici mesi non mi hanno propriamente entusiasmato.

E’ il riscatto anche della forma canzone semplice e delle voci toccanti. Frammenti di ricordi di un Natale 2011 che vide girare tante volte il disco di Feist. L’elemento nostalgico che non guasta mai.

#5) THE WAR ON DRUGS
Lost In The Dream

[Secretly Canadian]

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Ignoravo la produzione dei The War On Drugs prima di incrociare le note di questo disco e più o meno la ignoro ancora oggi. Mi fermo al presente e “Lost In The Dream” mi ha fatto compagnia incessantemente durante alcuni mesi dell’ultimo anno. Rock classico di stampo americano con sortite più contemporanee che ne hanno fatto un gioiello inaspettato.

Il genere di dischi che si sincronizza perfettamente con i miei umori per una questione di pelle e affinità  istintive.

#4) ELBOW
The Take Off And Landing Of Everything

[Fiction]
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Un album che mi è esploso dentro in un momento particolare. E’ stato amore al primo ascolto, un trascinarsi di sensazioni eleganti e malinconiche che ho portato dentro per alcune settimane. Col senno di poi e qualche mese di sedimentazione ne ho percepito i difetti e alcune sovrastrutture un po’ pesanti.

Resta un grandissimo disco ma non l’apice degli Elbow, per inciso una delle mie band preferite di sempre, ed ha perso qualche punto nella mia classifica annuale.

#3) SUN KIL MOON
Benji

[Caldo Verde]

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Disco mastodontico per contenuti e qualità . Nonostante questo, alla fine dei conti non è il mio album del cuore dei Sun Kil Moon. Un Kozelek strepitoso sfoga la sua vena tra malinconie e divertimenti, raccontando se stesso con quel pizzico di distacco e disillussione che rende questo disco una bella pagina di letteratura musicale.

Tra ombre e tiepidi raggi di luce mi ha emozionato evitando di strozzarmi il cuore in una morsa letale.

#2) DAMIEN JURADO
Brothers & Sisters Of The Eternal Son

[Secretly Canadian]
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Ammetto di aver pensato di usare il testa o croce con una moneta per decretare il primo e il secondo posto della mia top 10 2014. Damien Jurado ha dato alle stampe un disco favoloso, classico fino al midollo eppure senza tempo. O, per meglio dire, il tempo dei grandi cantautori della tradizione americana di cui si sente sempre la necessità .

Se non l’ha spuntata, è solo perchè ho voluto premiare atmosfere più algide che hanno toccato particolarmente le mie corde soprattutto nella seconda metà  dell’anno, in cui il mio rapporto con la musica sembra essere almeno momentaneamente cambiato in favore di emozioni più rare e distaccate.

#1) MOGWAI
Rave Taps

[Sub Pop]
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Eccolo qui, il mio disco dell’anno. Fino a poche settimane fa non avrei immaginato che potesse spuntarla come vincitore. Invece i Mogwai hanno interpretato al meglio un certo distacco emotivo che ha caratterizzato i miei umori negli ultimi mesi. Meno struggimenti, meno nodi alla gola e più atmosfere, magari fredde e notturne.

Non c’è la strana angoscia di cui non riuscivo fare a meno l’anno scorso ascoltando i Boards Of Canada, c’è una quiete di fondo che riscalda senza esagerare. Inoltre non ho voglia di troppe parole e al silenzio preferisco musica come questa.