Di Bridie Monds-Watson, in arte SOAK, hanno parlato un po’ tutti. Elogi, paragoni tra lo scomodo e l’importante (tipo quello onnipresente con un’altra ragazza precoce di nome Laura Marling anche se musicalmente non hanno molto in comune). Fiumi di inchiostro per tessere le lodi di questa musicista irlandese appena diciottenne, che suona la chitarra da quando di anni ne aveva tredici. E l’hype si sa a volte inganna. Fortunatamente però “Before We Forgot How To Dream” non è il solito disco da copertina che passa e và , pagare alla cassa e tanti saluti. C’è del buono tra le righe e le note di SOAK. A colpire è la voce eterea, ancora da ragazzina apparentemente innocente e vulnerabile, che in “Before I Forgot How To Dream” crea un piccolo mondo tutto suo. Intimo. Privato. Come se parlasse più a se stessa che agli altri. Come se stesse scrivendo un manuale di auto aiuto o un diario, un diario da teenager in cui i ricordi belli e brutti sono ancora freschi e l’inchiostro sulle pagine macchia le dita.

Chi ascolta si sente quasi di troppo, scoperto con le mani nel sacco a spiare qualcosa che non dovrebbe vedere. Bridie gioca con i generi, parte dall’essenziale e ci costruisce sopra con testardaggine mettendo insieme il folk più minimale, dolci ballate tra pianoforte, archi e chitarra (l’ottima “Wait”) piccoli esperimenti rumoristi piazzati ad arte e arrangiamenti che flirtano con l’elettronica e creano un’atmosfera ovattata, dark, un po’ alla Beach House. C’è molta differenza tra le composizioni giovanili tipo “Sea Creatures” e quelle più strutturate in particolare “Hailstones Don’t Hurt”, “B a noBody” e la deliziosa “Reckless Behaviour” dove esce fuori la Bridie più solare anche grazie a un sound morbido che sembra studiato apposta per ricordare alcune band canadesi (dagli Stars ai Broken Social Scene). Ma non è un gran problema perchè ascoltandole si può toccare con mano la crescita di SOAK, un’artista che prova a scrollarsi di dosso il ruolo di next big thing per diventare se stessa e lo fa con eleganza, con le armonie stregate di “Shuvels”, il pop sofferto di “Blud” e l’approccio più maturo e un po’ gotico sperimentato in “24 Windowed House” e “Oh Brother” (che sia un piccolo assaggio di quello che ci aspetta in futuro?)

C’è tanta carne al fuoco in “Before We Forgot How To Dream”. Come se Bridie non sapesse ancora quale strada prendere e volesse provare a percorrerle tutte, sacrificando spesso l’immediatezza delle sue canzoni sull’altare dello studio di registrazione per ottenere un disco che suoni bene, che faccia colpo. Le emozioni che esprime però sono vere, oneste e forse è questo il lato che più avvicina SOAK a Laura Marling: come lei sa mettersi a nudo, senza finzioni e con audacia. Lo stile delicato di Bridie Monds ““ Watson può piacere o non piacere ma il suo è un talento con cui bisogna e bisognerà  fare i conti. Un talento in crescita e sarà  bello seguirne l’evoluzione. Questo per lei è solo l’inizio. Un esordio interessante, come non se ne sentono spesso.