#10) GORDI    
Reservoir  

[Jagjaguwar]

Sophie Payten ha scritto una manciata di canzoni che sembrano arrivare direttamente dal cuore di una campagna australiana un po’ isolata e forse, ancora da scoprire. Ha lavorato a un suono da forgiare in pieno DIY e “Reservoir” è uno degli album che più hanno fatto breccia, vuoi per averlo visto (ascoltato) crescere live, vuoi per quel tocco – inconfondibile – di Sir Bon àver, del quale Gordi è una protègè.


#9) JAY SOM  
Everybody Works
[Double Denim]

Un debutto di rara bellezza, forse passato inosservato ai più, ma in grado di raggiungere picchi emotivi inattesi. Melina Duterte, poli-strumentista della Bay Area si muove con consapevolezza tra gli angoli del cantautorato indie. “Everybody Works” è un album denso e dal suono ora accattivante, ora più pungente, un quadro composito tutto da ammirare ed interpretare. Ancora mi chiedo perchè Jay Som abbia aperto per Day Wave in una data al The Garage di Londra qualche mese fa, e non il contrario. Misteri.


#8) PERFUME GENIUS  
No Shape 
[Matador]

“No Shape” è stato uno dei fulmini a ciel sereno di questo 2017, almeno alle mie latitudine, sia chiaro. L’art-pop sperimentale di  Mike Hadreas accoglie le sfumature e influenze più disparate, specialmente per pezzi-capolavoro quali la spettacolare “Slip Away” o “Otherside”, un pezzo da chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare lontano. Ascoltatelo live, non appena ne avrete l’occasione. Garantisco io.


#7) ST. VINCENT
MASSEDUCTION
[Loma Vista]
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Valentina Natale scrive nella sua brillante recensione per questo disco: al centro della scena c’è sempre Annie Clark, il suo talento, le sue ossessioni. Giochi di sesso e potere si rincorrono tra i riferimenti letterari della title track, chitarre nervose in odor di  Talking Heads  lasciano spazio a tanto elettropop (“Sugarboy”,”Young Lover”) in un’altalena estrema di temi, toni e emozioni musicali.
Nulla da aggiungere, “MASSEDUCTION” devo ancora capirlo appieno, nella sua – soltanto apparente – semplicità .


#6) SLOWDIVE  
Slowdive 
[Dead Oceans]
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Forse uno dei pochi casi in cui una reunion dopo un letargo di quasi vent’anni ha portato alla luce un album di pregevole fattura e che rimarrà  a lungo perchè fatto con amore, con dedizione e cura dei dettagli. Di queste otto tracce, le chitarre di “Star Roving” mi sveglia al mattino, in quel confuso momento tra la tra il sonno e la veglia. “Slomo” e “Sugar For The Pill”, invece, mi fanno sognare ad occhi aperti. Bentornati.


#5) LCD SOUNDSYSTEM
American Dream
[Columbia Records]
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Più che un album cosà­ come lo concepiamo, “American Dream” è una storia, un concentrato di emozioni e un accorato omaggio a quel Duca Bianco il cui vuoto lasciato in questa vita terrena sembra ancora così difficile da colmare. Eccola qui, allora, la confessione di  James Murphy, nel turbine emotivo che si lascia alle spalle, dal lavoro con Bowie alle decisioni – chissà  con quale bagaglio di rimpianti – di abbandonare i lavori a “Black Star”.


#4) BRAND NEW
Science Fiction
[Procrastinate! Music Traitors]
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Devo ammetterlo: dopo i fatti più recenti – con Jesse Lacey sommerso dalla melma di accuse per fatti imperdonabili e sui quali non vorrei dilungarmi qui – ero davvero incerto che lasciare “Science Fiction” in classifica. Poi mi son detto, “lasciamo parlare la musica”, che è meglio; ed eccolo qui, LP5 per la band di Long Island con il nome meno SEO-friendly della storia e con un potenziale che a questo punto rimarrà  inespresso per sempre. Peccato, perchè “Science Fiction” è un disco con le scatole quadre – almeno a modesto avviso di chi scrive – ma è pur sempre il canto del cigno di una band che ha perso il mio rispetto. Rimarrà  la musica, ecco, quella si.


#3) THE XX
I See You
[Young Turks]
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Hanno scelto la strada più sicura, dopo qualche anno di assenza dalle scene e una caterva di altri progetti per i membri della band, eppure quei fenomeni chiamati XX hanno dimostrato di aver fatto la scelta giusta. “I See You” compirà  un anno all’inizio di questo 2018 in arrivo, e nonostante tutto, è ancora li a girare sul piatto tra i miei dischi preferiti di questi 12 mesi.


#2) JULIEN BAKER
Turn Out The Lights
[Matador]
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Julien Baker ha una storia fatta di dipendenze, ferite e un perdurante senso di sconfitta e isolamento. Quella pagina, seppur appartenente a un capitolo confinato nel passato, per certi versi pesa ancora e “Turn Out The Lights” racconta di un processo di presa di coscienza, e lo fa quasi sottovoce. Julien è uno dei talenti, a parer di chi scrive, più luminosi della galassia indie di cui Matador Records è attenta osservatrice. E questo album ne è la prova tangibile.

#1) The National  
Sleep Well Beast
[4AD]
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Eccolo qui, il mio “disco dell’anno”. Non ho avuto dubbi, dal primissimo ascolto di “Sleep Well Beast”, il più intenso, profondo e nel contempo complicato LP di questo anno solare. à‰ un po’ come perdersi in un bosco in cui non ci sono più segnali visibili per tornare al proprio sentiero, l’esperienza di ascoltare questo disco. Da qualche parte si arriva, ed è un porto sicuro, ma vi si giunge con un animo diverso, smontato e ricostruito daccapo. Come solo Matt Berninger e i suoi sontuosi The National sanno fare.