Ancora prima di iniziare ad ascoltare una singola nota del disco, veniamo a sapere dalla press-release che, per questo suo dodicesimo lavoro sulla lunga distanza, Destroyer ha cambiato il suo approccio alle registrazioni: se prima il tentativo era quello di riprodurre il suono insieme a una band, qui invece rimangono solo poche menti al lavoro.

Dopo avere scritto le sue canzoni, infatti, Daniel Bejar le ha registrate di notte a casa sua usando GarageBand, poi Nicolas Bragg ha aggiunto le chitarre e John Collins, che ha anche prodotto e mixato questo nuovo LP, i synth e la sezione ritmica, recuperando anche frammenti da vecchie registrazioni dei dischi precedenti per creare nuovi panorami sonori.

Uscito, almeno momentaneamente, dai New Pornographers, Dan ultimamente si sta concentrando soprattutto sul suo progetto personale e sarà  interessante se ciò possa aver portato benefici alla sua musica.

La opening-track (e primo singolo estratto da questo nuovo lavoro) “Crimson Tide” dà  inizio al viaggio in sei lunghi minuti: la solita vena poetica, seppur malinconica, dei vocals di Bejar navigano sopra un tappeto sonoro costruito con synth e drum machine e, con la loro morbidezza, si contrappongono perfettamente ai beat creati dalla strumentazione, che rendono il brano quasi dancey, quantomeno in alcune parti.

Meravigliosa ““ probabilmente la nostra preferita del disco ““ anche “The Raven”: chitarra, piano, synth e percussioni costruiscono un ottimo risultato che gode della grande e innata passione della voce di Daniel, mentre riesce a farci muovere sia il piede che il cuore (molto belli gli assoli di chitarra qui ““ cortesia di Bragg).

Davvero speciali le atmosfere create in “The Man In Black’s Blues”, incredibilmente rilassante e morbida: sembra il perfetto soundtrack per un viaggio serale lungo la costa in cui il mare blu, il sole che scende e la musica sono i compagni più fedeli.

L’unico errore di questi quarantadue minuti, lo troviamo negli ultimi cinquanta secondi della conclusiva “Foolssong”, con strane grida allucinate con non portano da nessuna parte, ma è un peccato che a Bejar perdoniamo volentieri.

Sebbene anche in questo disco Destroyer continui con l’uso dei synth come già  accadeva in “Ken”, qui le maggiori influenze le possiamo trovare nel synth-pop anni ’80 (al contrario dei suoni più barocchi e raffinati del precedente): certo, la poesia nella sua voce rimane sempre ed è già  un punto vincente ancora prima di iniziare l’ascolto, ma qui l’approccio al songwriting (e anche alle registrazioni) è stato diverso rispetto al passato e l’esplorazione verso nuovi territori ancora una volta ha portato risultati molto positivi per Daniel. E allora non ci rimane che toglierci nuovamente il cappello e aspettare con ansia il prossimo 4 aprile, quando il musicista canadese, novello papà , suonerà  al Circolo Ohibò di Milano.